Presentato al Festival di Cannes, Tre Piani è la prima opera di Nanni Moretti a essere basata su un’opera altrui, un libro dallo stesso nome di Eshkol Nevo. Sarà stata questa novità a far sì che il regista, noto per l’impegno politico e la critica sociale, mancasse completamente il segno?

Tre facce di un incidente, tre famiglie che vivono nello stesso palazzo, tre rapporti genitori-figli. Tre gruppi di personaggi che ci si aspetta interagiscano gli uni con gli altri nel corso della pellicola, ma le cui storie si intrecciano solo nella scena iniziale, in cui un evento tragico finisce per toccarli tutti. Tre sottotrame distribuite in modo equilibrato, con una di esse che domina la prima metà e le altre due che prendono piede nella seconda, rendendo impossibile seguirle contemporaneamente con pari interesse.



La prima storia segue Lucio (Riccardo Scamarcio), padre di famiglia determinato a scoprire la verità su una circostanza scabrosa in cui è rimasta coinvolta la figlia. Considerato che il modo in cui si arriva a tale circostanza è alquanto demenziale e che la soluzione del mistero viene esplicitata dal film stesso nei primi venti minuti, interessarsi a questo primo intreccio risulta alquanto difficile. La ricerca di un uomo ossessionato a tal punto dalla verità da non rendersi di conto di averla sotto agli occhi potrebbe essere un incipit interessante, se non fosse che a metà film Lucio semplicemente si dimentica della sua ossessione: la sua storia prende una piega del tutto diversa, e il dubbio con cui ha assillato gli altri personaggi e noi spettatori cade nel dimenticatoio, salvo poi essere recuperato nel finale con una rivelazione anticlimatica e scontata.



La seconda storia è incentrata su due sposi, il cui rapporto si infrange nel momento in cui il loro figlio uccide una donna investendola. Anche qui una premessa interessante, se non fosse che la caratterizzazione del marito severo (Nanni Moretti) è estremamente monodimensionale, mentre la moglie Dora (Margherita Buy) è una donna affranta succube del coniuge che sembra del tutto incapace di prendere una decisione per se stessa. Questa seconda “protagonista” assiste impotente alla rottura tra figlio e marito, e il suo arco narrativo consiste nel realizzare a sessant’anni suonati che forse il fatto che il compagno le scegliesse pure i vestiti non era indice di una relazione sana. Dopo essersi schierata per anni dalla parte del coniuge la donna tenta di riavvicinarsi al figlio, che comprensibilmente non è interessato a vederla, ma anziché accettare la scelta del ragazzo continua a stargli addosso, dimostrando di non essere in grado di dare un senso alla propria esistenza da sola.



Probabilmente Tre Piani voleva essere un film femminista, almeno nelle intenzioni. La terza protagonista è infatti un’altra donna, Monica (Alba Rohrwacher), una moglie-madre affranta e succube del coniuge costretta a badare da sola alla figlia appena nata. Quest’altro personaggio ci conferma che nel mondo di Tre Piani non solo le donne non sono in grado di discutere con i propri compagni, ma sono anche prive di capacità decisionale: Monica non cerca mai aiuto, non si confronta mai col marito nei rari momenti in cui è in casa, non ha mai voce in capitolo – tanto che finirà incinta di nuovo, autoinfliggendosi altro stress che non è in grado di gestire. Bisogna aspettare la fine del film perché la donna prenda una decisione, e lo farà nel modo più egoista possibile, abbandonando la sua famiglia e le sue responsabilità con un gesto che nel film viene illustrato come positivo.

Mi piacerebbe parlare di aspetti quali regia, fotografia e montaggio, ma essi sono del tutto trasparenti in quest’opera. Non c’è un’inquadratura dinamica, non c’è un momento che venga rappresentato in maniera non didascalica, non c’è un movimento di macchina o uno stacco degno di nota. Il ritmo è glaciale, le due ore di minutaggio sembrano dilatarsi all’inverosimile, grazie a un susseguirsi di eventi trascurabili e privi di effetti sulla trama. La colonna sonora è graziosa, e gli attori funzionano su un livello superficiale, ma i dialoghi terrificanti che sono costretti a recitare rende difficile tollerarli, figuriamoci apprezzarli. Riporto un estratto da una scena del film, per dimostrare che non esagero col melodramma:

– Vieni con me.

– Ma io non ti conosco, perché dovrei seguirti?

– Fidati, riguarda anche te.

– Va bene.

 La sceneggiatura è piena di momenti simili, dialoghi innaturali volti a esporre fatti o far accadere avvenimenti che alla fine non ammontano mai a niente di significativo.

Qual è il significato di Tre Piani? C’è forse dietro l’ennesima critica alla borghesia? Se è così, si nasconde molto bene, dietro a personaggi tagliati con l’accetta il cui comportamento ha ben poco di umano. Sinceramente non so cosa stesse pensando il regista durante la realizzazione del film, ma so che se un film abbandona ogni pretesa visiva per puntare tutto sul dramma, forse non è il caso di renderlo l’equivalente triste di una commedia degli equivoci, basata sull’assunto che i personaggi non si parlino tra di loro.

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