Gli ostaggi, i combattimenti da riprendere, gli sfollati da sistemare: i nodi da sciogliere nella guerra Hamas-Israele sono tanti. Forse per questo gli israeliani non hanno ancora definito quale sarà la loro strategia una volta conclusa l’operazione militare a Gaza. Ciò nonostante cominciano a trapelare indiscrezioni, sotto forma di documenti dell’intelligence, che prefigurano qualche ipotesi per il futuro. Una di queste, spiega Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa per il Cesi, Centro studi internazionali, prevede l’allargamento della zona D al confine tra Egitto e Striscia per creare villaggi in cui trasferire i palestinesi allontanati da Gaza, che verrebbe occupata da cittadini israeliani, anche coloni, trasformando il territorio secondo il modello della Cisgiordania. Un piano che metterebbe in crisi gli accordi di Camp David e quelli di pace tra Il Cairo e Tel Aviv.



In realtà non si sa ancora quale soluzione adotterà Israele, che però deve fare attenzione a non destabilizzare Egitto e Giordania: potrebbe trovarsi due nemici alle porte. Intanto la tregua dovrebbe allungarsi di due giorni: all’orizzonte c’è la liberazione di altri ostaggi.

Tiene banco il destino di Gaza e dei gazawi: cosa vuole fare Israele quando sarà conclusa l’operazione militare? Quante probabilità ci sono che si realizzi l’ipotesi di un allargamento della zona cuscinetto con l’Egitto per sistemarci i palestinesi fuoriusciti e quante che la Striscia venga occupata con cittadini israeliani, costruendo anche delle colonie?



E’ un’ipotesi, un’indiscrezione uscita nei giorni scorsi che, se guardata con un occhio critico, non è così inverosimile. Il governo israeliano l’ha avallata dicendo che spingerà la popolazione di Gaza ad andare più a Sud, non solo fino a Khan Yunis o Rafah, ma anche oltre, verso il Sinai. Una eventualità che sta creando molte tensioni con l’Egitto, che non gradisce questa soluzione per motivi politici, perché in vista ci sono le elezioni, ma anche per ragioni simboliche e di politica regionale, perché sembrerebbe avallare il dislocamento della popolazione palestinese fuori dai confini dei territori occupati. Il punto critico è come riempire lo spazio di Gaza: con popolazione ebraica, magari con coloni trasferiti lì o innestando nuove colonie nella Striscia? Si tratterebbe di un’operazione permanente oppure temporanea? Le incognite riguardano anche i palestinesi: bisogna vedere se rimarranno e se verranno fatti rientrare dopo il conflitto.



Un’operazione simile a quella attuata in questi anni con la Cisgiordania?

Non sappiamo cosa succederà. Ma se prendiamo in considerazione gli elementi di cui si discute è evidente che c’è questo rischio. Ad oggi non sappiamo quale sia la strategia israeliana al di là di distruggere Hamas nella Striscia di Gaza. Se l’occupazione fosse permanente si potrebbe verificare una situazione tipo Cisgiordania.

In questo momento che cosa accredita l’ipotesi dell’occupazione di Gaza con cittadini israeliani?

Sono indiscrezioni contenute in un documento dell’intelligence israeliana, che farebbe prefigurare, appunto, un’occupazione con popolazione ebraica. Bisogna capire quanto è una speculazione, magari è solo una delle ipotesi formulate accanto ad altre. La strategia non è chiara non solo agli osservatori esterni, ma anche agli israeliani e ai loro alleati.

Che cosa è la zona D che potrebbe essere allargata nello scenario fatto balenare dagli israeliani?

Secondo il trattato di Camp David e l’accordo di pace israelo-egiziano la penisola del Sinai è suddivisa in zone più o meno permanenti nelle quali può muoversi l’esercito egiziano. La zona D è una lingua di terra che si trova lungo il confine, che va dal mare al valico di Rafah, lunga circa 14 chilometri e larga poco meno di 30, una fascia di sicurezza stabilita dai trattati internazionali.

È il confine tra l’Egitto e la Striscia di Gaza?

È il confine tra Israele e l’Egitto, la Striscia è una demarcazione non statuale. Di fatto è il confine con la Striscia, ma formalmente è quello con Israele. In questa zona l’Egitto oggi, in virtù anche del disimpegno israeliano da Gaza del 2005, ha una funzione di controllo e sicurezza, di lotta al terrorismo e ai fenomeni illegali come, ad esempio, i traffici di armi e droga che avvengono soprattutto attraverso i tunnel. Un potere esercitato con l’approvazione israeliana.

Di tunnel in questo territorio ce ne sono ancora?

Negli anni passati ne erano stati distrutti diversi, alcuni dei quali ricostruiti. Ce ne sono ancora tantissimi, non si hanno numeri precisi ma parliamo di centinaia.

Qual è quindi l’importanza di questa fascia?

È una fascia strategica il cui allargamento con la costruzione di villaggi palestinesi dentro il territorio egiziano porterebbe a una trasformazione del trattato di pace israelo-egiziano, intaccando gli accordi stessi dei Camp David: sarebbe una situazione molto delicata. Si cambierebbero le condizioni di una “pace fredda” che dura da anni.

L’idea è di allargare la fascia oltre i 30 chilometri attuali e nello spazio in più sistemarci i palestinesi che prima erano a Gaza?

Sì, è un’ipotesi sulla quale gli israeliani stanno lavorando, ma è pericolosa: se Israele non riesce a gestire la Striscia di Gaza con Hamas non pensiamo che rinchiudendo i suoi uomini qui possa farlo più facilmente: nel Sinai Hamas potrebbe trovare degli alleati. Negli anni passati, insieme a vari soggetti informali, ha costruito alleanze per traffici illegali che hanno contribuito a rafforzare l’organizzazione e ad assicurarle materiali e armi per attaccare Israele. L’allargamento della zona D potrebbe essere una soluzione tampone ma rischia di peggiorare la situazione.

Il prossimo passaggio dell’operazione dell’Idf dovrebbe essere l’attacco alla zona di Kahn Yunis, che ha dato i natali a diversi capi militari di Hamas. Perché quest’area è così strategica?

È una zona di connessione fra il Sinai e Israele, controllarla è fondamentale per gestire la sicurezza del Sud di Israele e per controllare la Striscia di Gaza, anche perché è fondamentale per i traffici di armi attraverso i tunnel. È possibile che gli israeliani puntino a Sud il loro mirino, lo ha detto lo stesso Netanyahu. Qualche azione l’hanno già fatta, ma per ora si è trattato di raid: è evidente che potrebbe esserci qualcosa in più.

In questo contesto assume una rilevanza anche il porto di Gaza. Gli israeliani puntano anche a questo?

È fondamentale per il controllo della fascia dal mare all’entroterra. È un punto nevralgico anche per i traffici di armi. Ora gli israeliani lo controllano grazie a una pressione che viene esercitata dal mare, ma non direttamente.

Oltre a Gaza altro punto caldo è la Cisgiordania. Quanto l’aggravarsi della situazione nella West Bank può aumentare i rischi di destabilizzazione della Giordania?

Le due regioni sono divise dal fiume Giordano e metà della popolazione giordana è di origine palestinese. Ci sono tanti elementi che possono lasciare la Giordania, Paese piccolo ma strategico, alla mercé dell’instabilità, facendola diventare ancora più vulnerabile: sta vivendo una crisi economica e sociale importante, ha conosciuti rigurgiti antimonarchici e il ruolo degli islamisti resta significativo.

Insomma, gli israeliani devono stare attenti a spingere altri palestinesi in Giordania, rischiano di trovarsi un altro nemico alle porte, di crearselo loro seguendo questa strategia?

I giordani sono stati molto assertivi nei loro toni: hanno detto che qualsiasi trasformazione dello status della Cisgiordania per loro è un atto di guerra.

Alla scadenza della prima tregua sembra ci sia l’accordo per prolungare il cessate il fuoco temporaneo di altri due giorni: ancora donne e bambini o stavolta a Israele verrà chiesto di scarcerare anche persone più coinvolte nella rivolta palestinese?

Donne, bambini e persone innocenti incarcerate in Israele ce ne sono diverse. Lo dicono i report internazionali di Human Right Watch e Amnesty International. La liberazione di questi ostaggi tende a dare più forza ad Hamas come attore politico, per presentarsi come unico soggetto in grado di legittimare le aspirazioni palestinesi, contro il ruolo storico dell’Anp. Le possibilità di prolungamento della tregua sono alte, c’è la volontà di tutti, in primis dei mediatori Egitto e Qatar, di portare avanti questo momento per un paio di giorni. Serve a entrambe le parti per riorganizzarsi e definire una sorta di fase 2 del conflitto: questa situazione è temporanea, non è un cessate il fuoco ma una tregua che serve a tutt’e due i contendenti per prendere fiato e ripartire con maggior forza. La situazione, comunque, è talmente volubile che può cambiare da un momento all’altro.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI