Il governo israeliano temporeggia e allora Usa e Qatar, per evitare colpi di coda, annunciano l’accordo con Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Netanyahu, insomma, chiamato a vincere le resistenze nel suo governo da parte di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, stavolta ha dovuto accettare (prima che il suo governo si pronunciasse ufficialmente) un’intesa raggiunta grazie alla determinazione di Trump, che ha affiancato Biden in quelle trattative che finora l’amministrazione democratica non era riuscita a mandare in porto. Netanyahu, d’altra parte, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e inviato del Tg1 Esteri, in prospettiva potrebbe ottenere l’appoggio Usa in vista di un attacco militare all’Iran e per l’annessione della parte di Cisgiordania occupata dai coloni. Se non convincerà la destra, potrà accettare l’appoggio di partiti oggi all’opposizione, come quelli guidati da Lapid e Gantz. La tregua prevede tre fasi, due da 42 giorni. Nella prima verranno liberati 33 ostaggi vivi contro mille prigionieri palestinesi scarcerati. Dovrebbe cominciare domenica.
Gli Usa e il Qatar annunciano l’accordo e intanto il governo Netanyahu è in riunione. Israele ha subìto l’intesa?
C’è una tempistica irrituale. Mentre Hamas diceva che l’accordo c’era, gli Stati Uniti lo annunciavano e Israele si riservava di annunciarlo. C’era il timore di un’azione militare o politica da parte israeliana che facesse saltare l’intesa, quindi tutti i protagonisti della vicenda, con il benestare di Trump, hanno scavalcato Netanyahu, ponendolo nella condizione di dover accettare un accordo annunciato da altri.
Ha parlato anche Biden, insieme a Kamala Harris e Blinken: ha provato diverse volte a raggiungere un accordo, ci voleva Trump per ottenerlo?
Ha confermato che la proposta accettata è quella che lui aveva annunciato a maggio e poi ancora a luglio, ma non ha spiegato perché non è riuscito prima nel suo intento, sostenendo che solo adesso Hamas è stata costretta ad accettare. Per Biden l’organizzazione palestinese è stata colpita nei suoi vertici e tra i suoi militanti, anche se il suo segretario di Stato poche ore prima aveva detto che oggi a Gaza ha più militanti dell’ottobre 2023. Ha parlato di grandi distruzioni, ma senza dire che sono opera di Israele andando oltre ogni regola di guerra. Tutto questo il giorno in cui sono usciti i sondaggi sull’orientamento del voto degli americani, secondo i quali il 29% delle persone che hanno votato Biden nel 2020 e che non hanno sostenuto la Harris nel 2024 lo hanno motivato con il tasso di violenza degli israeliani nel conflitto e con l’appoggio di Biden a Netanyahu.
Se Israele è stato costretto all’accordo vuol dire che c’è qualcuno che non è convinto di portarlo avanti. Un’intesa che nasce già zoppa?
Sappiamo che la destra israeliana si è spaccata. Ben-Gvir ha dichiarato di essere contro la tregua e pronto a uscire dal governo, Smotrich, invece, pur rimanendo contrario, non intende mettere in crisi l’esecutivo. È in corso un rastrellamento di consensi all’interno del partito di Smotrich, perché nelle prossime ore una parte dei suoi deputati confluisca nel partito di Ben-Gvir.
L’accordo è una vittoria di Trump?
Biden voleva chiudere la sua presidenza annunciando che era riuscito a fermare la guerra a Gaza, seppure all’ultimo momento, anche se la realtà aveva dimostrato che la sua amministrazione non è stata capace di chiudere l’accordo e in fondo non credeva a una tregua. La tregua, invece, si è realizzata perché Trump non ha dato nessuna copertura a chi voleva far saltare le trattative. Quando l’incontro del governo israeliano per decidere sull’intesa è slittato, il primo ministro del Qatar e Biden hanno deciso di parlare contestualmente, annunciando la tregua per evitare colpi di mano.
Che conseguenze politiche può avere in Israele l’accordo sul cessate il fuoco e ostaggi?
La destra ha detto chiaramente che i precedenti tentativi di un’intesa sono stati boicottati dall’interno del governo Netanyahu, che aveva deciso di procedere con un’escalation militare e anche umanitaria. Un elemento che conferma il peso della destra israeliana all’interno dell’esecutivo. Netanyahu, però, ha cercato di far capire che accettare la tregua può aprire un rapporto con Trump in merito ad altri due scenari.
Cosa potrebbe concedere il nuovo presidente Usa?
Netanyahu ha tentato di convincere i ministri della destra a non dare le dimissioni ricordando due elementi: in prospettiva, infatti, potrebbe esserci una resa dei conti militare con l’Iran, non per niente durante il primo mandato proprio Trump decise di ritirare gli Usa dall’accordo sul nucleare con Teheran. Il secondo fattore è che con l’amministrazione Trump la possibilità di un’annessione della Cisgiordania diventa molto più concreta, molti esponenti dell’entourage del presidente americano si sarebbero già espressi su questo.
L’obiettivo dello scontro con l’Iran è colpire i siti nucleari o arrivare anche al cambio di regime?
Sicuramente non è ardito dire che si punta anche a un cambio di regime, ma nel frattempo la priorità va agli obiettivi militari che potrebbero essere colpiti dall’aviazione israeliana. Il problema è se Trump voglia mettersi su una strada di scontro totale con l’Iran: anche gli Usa, in questo caso, pagherebbero un prezzo in prospettiva, cominciando dai contraccolpi immediati sul costo del petrolio. In Medio Oriente si considera Trump un politico, ma anche un businessman che ha interesse a non pregiudicare i suoi rapporti con il mondo economico arabo.
In questo contesto autorizzerebbe un attacco ai siti nucleari ma non uno scontro totale con l’Iran?
Qualcosa di più: potrebbe respingere la richiesta di Netanyahu di attacchi ai siti nucleari o addirittura ridurli a un fatto quasi simbolico, restando ben lontano da quello che chiede il governo israeliano. Un aspetto che non è passato inosservato al presidente iraniano Pezeshkian, che ha appena rilasciato un’intervista ai media americani, nella quale ha sgomberato il terreno da ogni ipotesi, ventilata in precedenza, di complotti iraniani contro la vita di Trump, ripetendo che i piani nucleari iraniani sono assolutamente finalizzati a un uso civile.
Netanyahu vuole continuare con questa compagine di governo, tenendosi ben stretta l’estrema destra e convincendola che la scelta dell’accordo potrebbe essere vantaggiosa, o è disposto a cambiare facendosi appoggiare da qualcun altro?
Netanyahu punta a continuare a governare con questa maggioranza, che ha unito l’ala sionista con l’ala centrista del Likud, diventato sempre più un partito di destra, più che centrista. Il premier, tuttavia, è un pragmatico, potrebbe proseguire accettando i voti del partito di Lapid e di quello di Gantz.
Paradossalmente anche questi nuovi compagni di viaggio, ora all’opposizione, potrebbero essere d’accordo sull’attacco all’Iran e l’annessione della Cisgiordania?
Credo che per convincere il cuore del Likud che se la destra esce dal governo bisogna andare verso un’intesa con l’opposizione, occorra da parte dei nuovi alleati il riconoscimento dell’annessione di una parte della Cisgiordania e di un possibile confronto diretto con l’Iran.
(Paolo Rossetti)
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