La proposta di Biden per una tregua che diventi un cessate il fuoco permanente non è dissimile da quelle che sono state rifiutate nei mesi scorsi. E per certi versi la trattativa che si sta svolgendo in queste ore ricalca situazioni già viste. Hamas ha detto sì all’accordo, ma resta pessimista: da parte di Israele, infatti, ci sono ancora delle resistenze a far tacere definitivamente le armi e si fa notare che il piano presentato da Biden sarebbe incompleto.
C’è di buono, però, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, che le parti hanno ripreso a parlare e in fondo, anche se il governo Netanyahu continua a ripetere che non si può raggiungere nessuna intesa senza la distruzione di Hamas, resta la speranza che l’esito dei colloqui sia sorprendente come quello degli incontri che hanno portato agli accordi di Oslo. Certo, le posizioni che si confrontano sono sempre le stesse e nell’esecutivo israeliano c’è una parte dei ministri che Gaza vorrebbero semplicemente occuparla, ma le pressioni sono tante e la stanchezza per la guerra comincia a sentirsi: per Israele, ma anche per i palestinesi e per tutta l’area, il conflitto è difficile da sopportare non solo militarmente, ma anche economicamente. Magari la situazione si sbloccherà anche per questo.
Intanto Netanyahu ha ricevuto l’invito da parte del Congresso USA a recarsi a Washington: il sostegno a Israele, insomma, per gli americani non è in discussione.
L’iniziativa di Biden per far cessare la guerra è fallita prima di iniziare?
Netanyahu parla di cessate il fuoco per gli ostaggi per poi discutere la situazione, mentre Hamas dice di aver accettato la proposta USA.
Non si tratta, comunque, della fine della guerra.
Neanche Biden la prevedeva in questi termini: ha proposto una prima tregua per liberare gli ostaggi nella quale far partire negoziati con l’intento di dichiarare poi il cessate il fuoco definitivo. Mi sembra che sia lo stesso schema delle altre tregue proposte finora, mai definitive, limitate nel tempo, finalizzate a ottenere qualcosa per entrambe le parti, che si sono accorte di non aver raggiunto gli obiettivi dichiarati. Israele non riesce a distruggere Hamas e ha un danno di immagine a livello internazionale.
Tutte le volte che un esponente del governo Netanyahu parla dell’accordo pone però come precondizione la distruzione di Hamas. E l’intesa sembra meno possibile. È rimasto tutto come nelle precedenti trattative?
Questo governo vuole risolvere il conflitto con i palestinesi con un conflitto ancora più grande, è andato molto oltre il limite facendo pagare al Paese un prezzo alto in termini di immagine. E c’è un’ala estremista dell’esecutivo che rischia di farlo cadere, che non ha certo in mente di ridare Gaza a un governo palestinese. Anzi è contro qualsiasi mediazione negoziata e che non preveda la distruzione di Hamas.
Secondo Haaretz, Hamas vuole la garanzia che verranno attuate tutte le parti dell’accordo, compreso il cessare il fuoco completo: un segnale che alla fine il negoziato fallirà anche stavolta?
Mai dire mai, c’è stato un tempo in cui l’OLP era un’organizzazione terroristica come Hamas e Arafat era considerato un terrorista. Poi ha stretto la mano a Rabin ed entrambi hanno ottenuto il premio Nobel per la pace. In politica non bisogna escludere mai niente. Anche Hamas si rende conto che una soluzione va trovata. Tempo fa ha presentato la proposta di una tregua a lungo termine, di 20 anni, che non tranquillizza Israele ma in un contesto come questo non sarebbero un male per tutta l’area.
Insomma, è un bene che le parti si parlino; resta accesa la speranza?
Se non ci fosse nessun contatto sarebbe un bruttissimo segnale. Il fatto che ci siano canali di dialogo aperti fa sperare che non abbiano rinunciato a parlarsi.
Quello che è stato proposto non si scosta molto dal tenore di precedenti ipotesi di accordo, cosa è cambiato?
Probabilmente ci sono degli elementi in questi accordi che pongono degli ostacoli. Magari il numero degli ostaggi, le parole che vengono scelte. A grandi linee l’accordo è quello proposto altre volte, ma entrando nei dettagli potrebbero esserci delle sfumature che per le parti non sono secondarie, che vengono sempre discusse in termini diversi.
In questo quadro gioca anche la stanchezza delle parti dopo otto mesi di guerra?
Credo che la stanchezza sia un elemento che riguarda tutti, partendo da Israele, che economicamente e militarmente parlando non so quanto possa andare avanti: la guerra ha fermato il turismo, alcuni settori dell’economia, il Nord è svuotato per le minacce di Hezbollah. Hamas, invece, ha a che fare con danni estesi alle infrastrutture, con un numero di vittime molto alto. L’amministrazione USA è stanca perché vede avvicinarsi le elezioni. Ma anche la Giordania e l’Egitto risentono delle conseguenze: la gente annulla viaggi a Petra piuttosto che in altri posti.
L’elemento chiave dell’accordo qual è?
La svolta potrebbe segnarla la riconsegna degli ostaggi a Israele. Sarebbe un risultato concreto da sbandierare di fronte all’opinione pubblica. Il governo avrebbe qualcosa da mostrare per certificare che ha centrato un obiettivo. E anche da parte palestinese si assisterebbe al rilascio di un numero sostanzioso di prigionieri che erano nelle carceri israeliane. Chi certifica, invece, la distruzione di Hamas? È difficile da stabilire.
Intanto Netanyahu è stato invitato dal Congresso USA. Che significato ha?
Gli americani ribadiscono che sono dalla parte di Israele.
Ma potrebbe andare negli USA dopo aver risposto no alla proposta di Biden sul cessate il fuoco?
Coglierà l’occasione per giustificare quello che Israele ha fatto, spiegando eventualmente perché ha rifiutato la proposta di Biden. Una grande occasione di pubbliche relazioni, per fare pressione anche sulle lobby pro Israele, per far capire perché gli USA devono comunque continuare a sostenere Israele.
Potrebbe presentarsi anche senza avere le idee chiare su quello che succederà a Gaza dopo la guerra? Il ministro della Difesa Gallant ha dichiarato che occorre far emergere un’alternativa di governo locale senza Hamas, ma non si sa ancora qual è. Netanyahu potrà presentarsi senza specificare cosa accadrà?
Sarà una bella patata bollente da gestire, perché si fa in fretta a dire di dare il governo della Striscia a qualcuno che non ha avuto niente a che fare con Hamas, che rimane comunque un attore che può mettere i bastoni fra le ruote. Gli israeliani non sanno quale sarà il futuro di Gaza, ricordiamoci che c’è una parte del governo Netanyahu che probabilmente non vuole neanche andarsene da Gaza e che non vuole che ci restino neanche i palestinesi.
Cosa succederà con la trattativa per il cessate il fuoco?
L’accordo potrebbe essere rifiutato, è otto mesi che lo fanno. Ma potrebbero sorprenderci, come è successo per gli accordi di Oslo.
(Paolo Rossetti)
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