Prima le trattative sembravano interrotte, con Hamas che reclamava un ritiro dell’IDF da Gaza; poi sono riprese e secondo qualche fonte l’accordo è quasi fatto. Ora si torna al silenzio. Ma la tregua fra Israele e Hamas si farà? Se arriverà, spiega Vincenzo Giallongo, colonnello dei Carabinieri in congedo con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, Tel Aviv la accetterà perché costretta dalle pressioni interne ed esterne. In realtà, il Governo israeliano sapeva dell’attacco del 7 ottobre e avrebbe lasciato che accadesse per poi perseguire l’obiettivo della distruzione dell’organizzazione palestinese. La tregua, da questo punto di vista, potrebbe essere un ostacolo. Gli obiettivi del governo Netanyahu, d’altra parte, non sono così facili da raggiungere: Hamas avrebbe già ripreso ad amministrare alcune zone della Striscia e per il futuro spera di entrare nell’OLP, di restare insomma al governo della Palestina.



Colonnello, alla fine questa nuova tregua fra Israele e Hamas si farà?

Una tregua potrebbe fare comodo solo ad Hamas; Israele non è molto del parere di farla. Sapeva benissimo quello che sarebbe successo il 7 ottobre, ha lasciato che accadesse per avere l’occasione di regolare i conti definitivamente con Hamas. Hanno dovuto affrontare anche la Corte internazionale dell’Aia che, fortunatamente per loro, non ha imposto il cessate il fuoco. Alla fin fine, comunque, credo che Tel Aviv non volesse una tregua. Occorre tenere conto anche di un altro aspetto: mi auguro che gli ostaggi possano tornare tutti a casa, ma la vedo molto difficile.



Perché Netanyahu allora ha preso in considerazione la possibilità di un cessate il fuoco?

Gli Stati Uniti lo pressano da una parte, l’ONU dall’altra, i familiari degli ostaggi entrano in Parlamento a protestare. Obtorto collo ha dovuto prendere in considerazione l’eventualità di cedere su qualcosa: sembra che abbia accettato 35 giorni di tregua e uno scambio tra ostaggi e prigionieri nelle carceri palestinesi. Portare a casa degli ostaggi non sarebbe male: prima di tutto vengono le vite umane. Poi si vedrà: in un periodo così lungo possono accadere tante cose.

Ma smetteranno veramente di sparare o troveranno un altro pretesto per continuare la guerra?



Il problema è proprio questo. Forse lo faranno, ma non così in fretta. Anche in occasione del primo cessate il fuoco sono passati diversi giorni prima che l’accordo diventasse operativo. Bisognerà vedere se anche Hamas riterrà di farlo. Credo di sì: 35 giorni possono servire anche per scappare in altri Paesi o fortificare le difese. Non si aspettava una risposta di questo tipo all’attacco del 7 ottobre, ma qualche loro dirigente intelligente avrebbe dovuto capirlo: se il Mossad, il servizio segreto più attrezzato del mondo, ha consentito ai miliziani di Hamas di arrivare fino a dove sono arrivati anche con un parapendio a motore, bisognava immaginare che forse qualcosa sapeva e che sarebbe arrivata una risposta terribile. Il governo israeliano, comunque, se acconsentirà alla tregua, lo farà veramente perché si sente costretto. I suoi piani sono altri.

Ad Hamas, invece, una tregua serve?

Sì. E dovrà utilizzarla al meglio, perché gli ostaggi a un certo punto finiranno. Avere 35 giorni di pausa e non consegnare tutte le persone che hanno rapito, per loro sarebbe l’ideale.

Il quotidiano Times of Israel dice che l’IDF ha avvertito i leader politici che Hamas ha già ristabilito le sue capacità amministrative in luoghi del Nord della Striscia dove il controllo dei soldati israeliani è stato allentato. Una dimostrazione che l’obiettivo di distruggere totalmente Hamas è un’utopia?

L’obiettivo di distruggere Hamas è irraggiungibile. Bisognerà vedere di che percentuale di distruzione di Hamas Israele si accontenterà. Tel Aviv deve mettere in conto che non raggiungerà tutti gli obiettivi e che si è assicurata una serie di attentati per i prossimi dieci anni. Se non anche all’estero. A Israele interessa distruggere l’ala militare di Hamas, per impedire che torni a combattere, poi c’è quella politica, che potrebbe continuare a governare una parte della Striscia di Gaza. Magari non si chiamerà Hamas per non dare l’idea che governino i terroristi, ma saranno sempre loro.

C’è anche un dibattito sul fatto che Hamas possa entrare nell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che esprime l’Autorità Nazionale Palestinese. Una normalizzazione possibile?

Per Israele sarà dura da digerire, ma se attraverso questo passaggio si potrà arrivare a normalizzare la Striscia di Gaza credo che non sarà impossibile. Oggi dice: “Mai più Hamas al governo della Palestina”. Intanto aspettiamo che finisca la guerra, poi quando non saranno più i soldati a parlare, ma sarà il momento dei politici, certe cose che inizialmente venivano rifiutate potrebbero essere in parte accettate. Quindi perché non aprire alla “faccia pulita” di Hamas, ammesso che ci sia, o almeno ai suoi rappresentanti meno compromessi? Non la vedo una prospettiva così assurda.

(Paolo Rossetti)

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