Oggettivamente, non poteva durare. Malgrado tutti gli sforzi diplomatici (che comunque si tenta di proseguire), la fragilissima tregua nella guerra Israele-Hamas è naufragata, smascherando l’evidente strategia dei terroristi islamisti. Perché la mancata consegna dell’elenco di un nuovo gruppo di ostaggi da liberare in realtà è ad un tempo un casus belli assolutamente voluto (al pari dell’attentato di due giorni fa a Gerusalemme, anche quello rivendicato da Hamas, portato a termine mentre proprio a Gerusalemme si trovava il segretario di Stato americano, Antony Blinken), e la dimostrazione che delle 137 persone ancora prigioniere dei terroristi (10 delle quali di età pari o superiore a 75 anni, 117 uomini e 20 donne, tra cui 126 israeliani e 11 cittadini stranieri) forse molte sono già state uccise.



Il quadro dimostra senza possibili fraintendimenti che Hamas non vuole nessuna pace, nessuna convivenza, nessuna cessazione delle sofferenze dei palestinesi di Gaza, anzi: intende intensificare se possibile i suoi attacchi continuando a confidare nell’insurrezione di più ampi strati del mondo arabo. Dal fronte, L’ISPI riporta che “le brigate Ezzedin al Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno rivendicato uno sbarramento di razzi lanciati su Ashkelon, Sderot e Beersheba, nel sud di Israele. Le sirene di allarme hanno risuonato anche negli insediamenti israeliani di Yad Mordechai e Netiv Hatara, a sud, vicino alla Striscia e anche la Jihad islamica palestinese ha affermato di aver preso di mira città e paesi israeliani vicini alla recinzione”.



Da tutto questo, sembrerebbe rafforzarsi la linea Netanyahu: non fermare le operazioni fino a che non si sarà definitivamente distrutto Hamas, una posizione da sempre fortemente sostenuta dai falchi dell’ultradestra, i paladini dei coloni. Ma lo stesso Bibi deve adesso affrontare, dagli stessi oltranzisti, le accuse rimbalzate dalla stampa Usa: il suo governo sarebbe stato informato già da un anno delle intenzioni di Hamas per l’attacco del 7 ottobre. Di più: i vertici dell’esercito (IDF) e dell’intelligence (Shin Bet e Mossad) israeliani non presero in considerazione quel presunto piano, che pure prevedeva nel dettaglio le modalità dell’invasione che ha portato alla morte di circa 1.200 persone: la raffica di razzi, i droni, i parapendii, le moto. In una superficiale presunzione di sicurezza, quel documento fu archiviato come fantasioso e non applicabile, in una dolosa sottovalutazione delle capacità e dell’inasprito sentiment degli attivisti. Alla luce dei fatti, sembra la disfatta della Sigint (lo spionaggio condotto con l’intercettazione di segnali elettronici), e l’abitudine a frequentare sempre meno l’Humint, l’intelligence basata sulle informazioni raccolte sui teatri ostili da persone infiltrate. Ci si affida cioè a sensori e satelliti pur di evitare rischi per gli agenti, e visto che in questo caso la sorveglianza elettronica non corroborava quanto emergeva dai territori… Ma s’ipotizza il dolo anche per l’Unità 8220, il dipartimento delle forze armate israeliane deputato proprio alla Sigint, che aveva cessato le intercettazioni delle comunicazioni dalla Striscia, perché ritenute poco interessanti.



Il 7 ottobre ha tragicamente dimostrato che una guerra asimmetrica può esplodere sempre, malgrado l’imparagonabile consistenza delle forze in gioco, ma anche che i muscoli da soli non bastano né come deterrente né come risoluzione, se non supportati da sforzi anti-isolazionisti, con intensificazione dei rapporti economici e diplomatici con i Paesi di confine. Lo ha capito poco Israele, sembra, e molto di più Hamas, che ha deciso l’attacco proprio per sminare sul nascere le intese nascenti tra lo Stato ebraico e Arabia Saudita.

Qualsiasi nuova stabilità dell’intero quadrante, però, non può più contare solo nei tradizionali blocchi mondiali, che vanno ridisegnati oggi tenendo in conto un Sud affollato, i vecchi “non allineati”. Sull’uscio di BRICS e simili stanno premendo altre economie emergenti asiatiche ma anche africane, continente quest’ultimo in cerca di nuovi fari, dove la Françafrique è ormai un ricordo.

Intanto, ieri Israele ha ritirato i negoziatori del Mossad dal tavolo di mediazione del Qatar, vista l’impossibilità di raggiungere nuovi accordi sulla tregua, mentre Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, Houthi nello Yemen e Brigate Sciite in Iraq, tutte formazioni terroristiche emanazioni dell’Iran, ricominciavano a sparare missili. E mentre l’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Roma, Mohammad Reza Sabouri, dichiarava che “l’Iran non dà ordini a Hezbollah e non vuole un’escalation della guerra in Medio Oriente, ma lavora fin dall’inizio per ridurre le tensioni e ritiene fondamentale per la soluzione di questa crisi fermare la macchina da guerra israeliana”.

Una dimostrazione esemplare (dopo quelle impartite dalla Russia) delle strategie parallele dei conflitti moderni, tra tecniche di controinformazione, negazionismi, affermazioni ripetute dei propri credi. Modalità tristemente note: uno dei mantra del Terzo Reich si basava sul fatto che una bugia ripetuta diventa verità.

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