LA TREGUA HAMAS-ISRAELE SI ALLONTANA MA NON DEL TUTTO: COSA HA DETTO UNO DEI LEADER PALESTINESI

Come ha raccontato oggi in esclusiva al “Sussidiario.net” il consigliere scientifico dell’ISPI Ugo Tramballi, sulla ipotetica tregua tra Hamas e Israele nella lunga guerra a Gaza l’accordo rischia di allontanarsi ma non per questo finisce il negoziato. Dopo il raffreddamento voluto dalla sigla terroristica palestinese in merito al nuovo accordo con Israele per un cessate il fuoco a Gaza (con liberazione degli ostaggi e stop all’offensiva su Rafah, ecco qui tutti i dettagli), un piccola fiammella “positiva” è giunta ieri dopo la telefonata tra il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal e uno dei leader storici di Hamas, Ismail Haniyeh.



In merito al piano sulla tregua messo a punto da Qatar, Egitto e Stati Uniti, il leader palestinese ha parlato di «spirito positivo del movimento nello studiare la proposta di cessate il fuoco». Hamas manderà una nuova delegazione per i negoziati in Egitto già nelle prossime ore in modo da «completare le discussioni in corso con l’obiettivo di maturare un accordo che soddisfi le richieste del nostro popolo e fermi l’aggressione». Il tira e molla di Hamas di queste ultime settimane non piace affatto né al Governo Netanyahu né tantomeno agli Stati Uniti che con il Segretario di Stato Blinken, appena di ritorno da Tel Aviv, ha fatto intendere che il peso del fallimento o successo dell’accordo su Gaza è tutto sulla scelta di Hamas.



OSTAGGI A GAZA E MINACCIA NETANYAHU SU RAFAH: I PROSSIMI SCENARI DELLA GUERRA IN MEDIO ORIENTE

Gli scenari che si aprono ora davanti sono tutto il contrario che “prevedibili”: un accordo sul tavolo per una tregua in due fasi tra Hamas e Israele già c’è ma al momento dal fronte palestinese si vorrebbe ottenere il massimo possibile, ovvero lo stop dell’offensiva su Rafah (situata nel sud della Striscia di Gaza), il cessate il fuoco generale e la liberazione di pochi ostaggi con addirittura la contemporanea scarcerazione di palestinesi arrestati negli anni da Israele. Secondo Tramballi, queste condizioni Israele stessa le mal digerisce in quanto Netanyahu ha già detto in mille salse che Hamas dovrà comunque essere annientata, costi quel che costi: «Una tregua di tre o sei settimane può creare le condizioni per una cessazione definitiva delle ostilità, ma se Netanyahu dichiara che l’operazione a Rafah verrà fatta comunque, dice ad Hamas che non vuole finire la guerra», spiega il consigliere ISPI al “Sussidiario“.



Resta dunque da approfondire un negoziato politico, di fatto quanto sia Hamas che Israele portano avanti pur nelle rispettive dichiarazioni al veleno: ancora ieri il Premier Netanyahu ha ribadito che farà tutto quanto necessario per «vincere e per sconfiggere i nostri nemici, anche a Rafah». La comunità internazionale ha già ammonito Israele nel non procedere con l’offensiva su Rafah, mantenendo fede all’accordo raggiunto in Egitto, anche se al momento è solo Hamas a non aver ancora risposto probabilmente per “tirare in lungo” e costringere lo Stato Ebraico ad ulteriori escalation che li porrebbe isolati dal resto dell’ONU (e forse anche dagli stessi alleati Usa). Nel frattempo non aiuta affatto la notizia che un altro ostaggio rapito il 7 ottobre è morto nelle mani di Hamas, o quanto meno il suo corpo è deposto a Gaza fin dall’inizio degli attacchi contro Israele: si tratta di Dror Or, 49 anni, assassinato negli attimi iniziali della guerra così come la moglie trucidata nei kibbutz direttamente il 7 ottobre 2023. I due figli sono invece stati rilasciati dopo 50 giorni di prigionia a Gaza. L’instabilità politica, il mancato accordo, le crescenti tensioni tra Libano (Hezbollah), Cisgiordania, Yemen (Houthi) e il sempre presente Iran sullo sfondo a coordinare la lotta anti-ebraica non rendono affatto più semplice lo scenario di pace in Medio Oriente: va aggiunto infine la fortissima tensione internazionale sulla causa palestinese, come dimostrano le violente proteste studentesche in corso in queste ore nelle principali università americane.