Era il 2003 quando furono proposti i titoli per l’industriale militare e le infrastrutture, ma per Giulio Tremonti non si può ragionare solo di finanza. Il presidente della commissione Affari esteri e comunitari della Camera torna a parlarne alla Verità, mentre è in partenza per Bruxelles. «Ci fu un dibattito, a giugno di quell’anno, al Parlamento di Strasburgo. Anche se quella seduta divenne famosa per un altro motivo». Il riferimento è a Martin Schulz che «fece arrabbiare Silvio Berlusconi», cioè alla lite sui “turisti della democrazia” e il “ruolo di kapò”.
«Ma quella fu solo l’ultima parte del dibattito. Tutto il resto aveva riguardato i titoli europei. La cosa divertente è che il consenso alla proposta arrivava da destra ma anche da sinistra», spiega l’ex ministro dell’Economia. Alla fine non se ne fece nulla, «per l’ortodossia finanziaria tedesca – no debito – e per l’intelligenza politica inglese no, perché questo è nation building», aggiunge Tremonti.
“DEBITO COMUNE UE STA DIVENTANDO UN PIANO DI GARANZIE”
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz resta contrario, mentre gli inglesi temevano che fosse un modo per costruire una sovranità europea. «Mica scemi gli inglesi». La proposta degli eurobond è poi tornata con la pandemia Covid, con «l’idea del debito comune, che in qualche modo viene realizzata». Ma ora c’è una novità, spiega Giulio Tremonti. «I vari influencer, tipo Mario Draghi ed Enrico Letta, hanno capito che non ci sono i soldi. Tanto che quello che avevano pensato come piano di debito comune – i 500 miliardi all’anno di Draghi, le spese per la Difesa da raccogliere con i risparmi degli europei – alla fine sta diventando un piano di garanzie».
Tremonti cita anche il piano Juncker, «un piano di garanzie che ha funzionato molto poco. Per essere chiari: a Bruxelles, ancora una volta, rischiano di partire dal lato sbagliato». Cioè quello dell’economia: «Oggi si deve partire dal lato della politica, della sicurezza». Gli eurobond per la Difesa per l’ex ministro «sarebbero un seguito della proposta italiana», ma suggerisce un passaggio politico. «Non si può ragionare finanza su finanza. Prima dev’esserci la politica: la domanda, la coscienza, l’obbligo di sicurezza comune; poi, si valuta come finanziarla».