Il picco storico del debito globale, arrivato a 313 miliardi di dollari, conferma che «la globalizzazione è ancora in atto» e che l’ideologia che l’ha spunta è in crisi. «Non è finito il mercato, ma il mercatismo, l’utopia della globalizzazione», dichiara Giulio Tremonti, presidente della Commissione Esteri della Camera. Analizzando al Sole 24 Ore i dati sul debito globale, l’ex ministro dell’Economia ravvisa una trasformazione della finanza, «perché è stato messo il surreale al posto del reale, il debito al posto del capitale, i liquidi con i tassi a zero al posto dei soldi». Se il capitalismo tradizionale aveva lo stato patrimoniale, quello nuovo «ha obliterato lo stato patrimoniale a favore del conto economico, dove tutto viene shortato, si riducono i tempi, e da una visione di valori si è passati a fattori istantanei, senza responsabilità». Quindi, anche la struttura del capitalismo è cambiata per Tremonti, che poi richiama il recente discorso di Mario Draghi a Washington, dove si è mostrato critico per la prima volta sulla globalizzazione. «È importante che sia stato fatto notare che fossero necessarie le regole. Un rilievo critico, ed è positivo che sia stato fatto da Draghi».
Per l’economista il momento decisivo è il 2009, dopo lo scoppio della crisi finanziaria diventata poi economica e dei debiti sovrani. A tal proposito, ricorda che lui all’assemblea dell’Ocse portò una bozza di trattato su Global Legal Standard e presentò il progetto alla Cina nella sede del Partito Comunista Cinese. L’alternativa era il Financial Stability board, presieduto da Mario Draghi, che proponeva una visione finanziaria. «Due ipotesi politiche, fu scelta la seconda». Alla luce di tutto ciò, per Tremonti è importante che l’ex premier abbia evidenziato la necessità di regole e che da parte sua «ci sia stata una correzione rispetto alle politiche monetarie restrittive del 2011».
“NON È DETTO CHE USA E CINA ARRIVINO A UNO SCONTRO”
Se prima le rivoluzioni si dispiegavano in un secolo, ora in 30 anni. Ma l’era che viviamo attualmente è segnata anche da guerre. Quelle in Ucraina e in Medio Oriente hanno una cosa in comune per Giulio Tremonti: «È un mondo che difende la tradizione dal mondo globale. Ricordiamo che cosa accadde l’11 settembre: furono abbattute le torri gemelle del World Trade Center di New York, un simbolo della globalizzazione. E oggi Vladimir Putin giustifica la guerra d’aggressione all’Ucraina con la difesa della tradizione», spiega al Sole 24 Ore. La situazione è simile in Medio Oriente: «Il presidente americano Joe Biden a Israele dice di non commettere gli errori commessi in passato dagli Stati Uniti, che hanno distrutto Stati come la Libia, la Siria e l’Iraq. Il nodo è che puoi vincere una guerra contro uno Stato, alla fine anche distruggerlo, ma non si può vincere contro un popolo al quale sono state scardinate le istituzioni».
Per Tremonti va messo in luce un dato in questa fase di crisi e globalizzazione finanziarizzata: «Tra Usa e Cina non è detto che si arrivi ad uno scontro. È vero che la Cina è in crisi, ma non credo sia la strada giusta trapiantare lì il modello economico occidentale. Usa e Cina si affacciano sullo stesso oceano, hanno davanti uno stesso destino. In questo senso vanno ricordate le parole del presidente Theodore Roosevelt all’apertura del Canale di Panama: potrebbe essere il nuovo Mediterraneo».