Asia e Nord America, nuove frontiere del gelato artigianale italiano. Lo conferma l’Osservatorio Sigep, il Salone Internazionale di Gelateria, Pasticceria, Panificazione artigianali e Caffè di Italian Exhibition Group, che rileva come, dopo avere registrato nel 2019 una crescita del 6% rispetto al quadriennio precedente, l’export degli ingredienti necessari a confezionare questa eccellenza del Made in Italy si prepari a incassare nei primi mesi del 2021 un rimbalzo a due cifre percentuali, complice anche il contributo delle esportazioni. Che crescono tanto a oriente quanto a occidente. Segnali di vitalità arrivano infatti dagli Stati Uniti, e ancora più da Est.
“In linea con un trend iniziato prima della pandemia – conferma Roberto Leardini, presidente del Gruppo Prodotti per gelato di Unione Italiana Food –, registriamo una crescita importante in Medio Oriente. Cina e Sud Est asiatico sono mercati agli albori, da cui arrivano però segnali di interesse e con un potenziale enorme nonostante un numero di gelaterie ancora molto basso”. Ma anche l’Europa mostra buone prospettive. “Il Vecchio Continente – spiega Leardini – totalizza circa il 60% dei nostri volumi di produzione.
Ricordo che la Spagna è il terzo mercato europeo, dopo la Germania, per il gelato artigianale, il cui potenziale è legato all’economia turistica. Interessante anche la Polonia. Ora quello che occorre è una promozione strutturata e sostenuta che parte dall’ICE e arriva alle aziende, passando per le Camere di Commercio”.
Macchinari industriali: la ripresa parla tedesco
A suggerire interessanti opportunità di sviluppo non è tuttavia il solo comparto ingredientistico. Anche le macchine per la produzione e le vetrine frigo promettono buoni riscontri. “Il settore – spiega Marco Cavedagni, presidente di ACOMAG, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani di macchine per gelaterie – ha ricevuto una spinta dagli incentivi per Industria 4.0, ma tra il 2019 e il 2020 ha perso, in media, tra il 30 e il 35% della produzione. Il sentiment per la prima metà del 2021 è però positivo: ci attendiamo un rimbalzo a due cifre, con la Germania molto dinamica”. L’Italia del resto in questo comparto dà prova di una fortissima vocazione all’export: ben il 75% della produzione nazionale di tecnologie professionali per le gelaterie esce infatti dal Paese.
Corsi professionali sempre più gettonati
Il gelato artigianale italiano insomma conquista spazi. E che sia così lo testimonia anche un altro parametro il tasso di conversioni tra iscrizioni a corsi di specializzazione professionale e nuove aperture commerciali, monitorato da Carpigiani per la sua Gelato University. “Nell’anno accademico 2018/19 – afferma Kaori Ito, direttrice della Carpigiani Gelato University – abbiamo registrato 6.000 iscritti ai corsi nei 20 campus nel mondo, di cui 2.500 in quello di Bologna. Di tutti questi, il 12%, cioè circa 300, ha risposto alla nostra survey “Where are you now?” confermando di aver aperto un punto di vendita”. Un ottimo punto di partenza per guardare al futuro post pandemia. Un futuro in cui sembrano farsi avanti in particolare tre Paesi. “Dei 1.350 iscritti ai corsi online tra l’1 settembre 2020 e il 17 giugno 2021 e quelli dei corsi in presenza ripresi a giugno, notiamo che UK, USA e Canada rimangono nella top ten, ma sono India, Turchia e Malesia a fare registrare un vero e proprio balzo in avanti. Le ragioni di questo balzo sono da ricercarsi in costo più accessibile della formazione online, in una grande offerta di corsi in inglese, nel superamento della difficoltà di ottenere un visto per entrare in Italia o anche soltanto sostenere le spese di viaggio”.
Catene in pole position
A completare questo scenario già piuttosto roseo, c’è infine un promettente dato relativo all’espansione delle catene che fanno del gelato artigianale il proprio core business. “Un monitoraggio condotto sul network Top International Gelato Chains – dichiara Antonio Verga Falzacappa, fondatore di Sistema Gelato, che accompagna le principali realtà della filiera del gelato artigianale nei processi di capitalizzazione e internazionalizzazione – ha censito oltre 600 punti di vendita in 30 nazioni, registrando precisamente 36 attività in più negli ultimi 18 mesi. Il che equivale a un incremento del 6%”. Un tasso significativo se si considera lo scenario economico globale. “Se teniamo conto che gli investimenti richiesti per aperture dirette e affiliazioni si pianificano con almeno un anno di anticipo – osserva Verga Falzacappa -, possiamo concludere che, se non vi fosse stata la pandemia, la crescita del settore sarebbe stata senz’altro più sostenuta”.
Scendendo poi nel dettaglio dei nomi, “da registrare il dinamismo espresso da marchi come l’americana, con solide radici italiane, Gelato Go – rileva Verga Falzacappa -, e da notare poi le italiane Venchi e La Romana che crescono rispettivamente nel Far East e in Medio Oriente. Infine, il caso della spagnola Borgonesse che conta giusto una decina di negozi tra Madrid e l’Andalusia, ma che vuol differenziare la propria presenza fuori dai confini nazionali. Si tratta di segnali importanti per il Made in Italy perché, da una nostra stima, per ogni apertura di un punto vendita all’estero, si produce su base decennale un effetto di trascinamento di oltre 500 mila euro tra macchinari, vetrine, attrezzature e ingredienti per le nostre filiere”.
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