Pierre Moscovici ieri è stato chiaro: occorre che l’Italia mostri un sentiero credibile per i conti pubblici del 2019 e del 2020 per evitare la procedura d’infrazione. Poche ore prima a palazzo Chigi si era tenuto un vertice economico di Governo al termine del quale Giovanni Tria ha ribadito che non ci sarà nessuna manovra correttiva. “Dobbiamo evitare la procedura di infrazione, sperando nella clemenza europea, soprattutto perché rappresenterebbe un’aggravante in più per i mercati e le agenzie di rating, che finirebbero per declassarci”, ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, secondo cui occorre anche “un minimo di consapevolezza del fatto che non stiamo subendo un ricatto dall’Europa, ma stiamo mettendo Bruxelles e i mercati nelle condizioni di non poterci nemmeno più graziare”.



Professore, è possibile evitare la procedura d’infrazione?

Il problema è che il debito pubblico sta aumentando perché il deficit galoppa. Già l’anno scorso c’era stata un’inversione di tendenza dopo quattro anni di debito/Pil in calo. Quest’anno la situazione è peggiorata visto che il tasso di crescita del Pil nominale sarà ancora più basso dell’anno scorso e che il debito salirà, ma non sappiamo bene di quanto perché se guardiamo il Def c’è scritto che ci sarà un punto di Pil di privatizzazioni, di cui non c’è ancora traccia. Questo è un dato importante.



In che senso?

Nel Def è indicato un deficit al 2,4% del Pil nel 2019 grazie a queste privatizzazioni. Questo vuol dire che il deficit parte dal 3,4%. E anche mettendoci i risparmi di Quota 100 e reddito di cittadinanza arriviamo al massimo al 3,2%. Senza dimenticare il tema delle clausole di salvaguardia: dove troviamo i 23 miliardi per disinnescarle? Di certo non possiamo farlo in deficit. Come si vede, quindi, non abbiamo solo un debito che punta, secondo le previsioni della Commissione europea, al 135% del Pil nel 2020, ma anche un deficit che già quest’anno sfora il 3%. Dunque sopra i parametri di Maastricht e motivo di ulteriore procedura d’infrazione.



Dal vertice di Governo di ieri sembra emersa la volontà di non varare manovre correttive o inserire nuove tasse. Salvini ha anche chiesto all’Ue maggior rispetto per l’Italia…

A mio modo di vedere abbiamo un’economia ferma e i conti pubblici che sono diventati ormai un terreno di sfida con l’Europa abbastanza insensato, anche perché il Governo sembra avere diverse “tendenze”: Tria che garantisce conti sotto controllo, Conte che lo sostiene, ma che poi cerca di riavvicinarsi ai due vicepremier, i quali fino a ieri sembravano divisi sull’atteggiamento da tenere con Bruxelles. Sono preoccupato che la situazione contabile ci possa sfuggire di mano in una maniera che renda poi difficile un riequilibrio.

Una situazione come quella del 2011?

Rispetto al 2011 oggi abbiamo un ministro dell’Economia che è schiacciato completamente da forze politiche che sembrano prescindere da qualunque suo sforzo di tranquillizzare la Commissione europea. Allora c’è stata un’austerità eccessivamente penalizzante che ha fatto crollare il Pil e non ha fatto diminuire il debito/Pil, ma quello che stavamo facendo negli ultimi anni era un’altra cosa: riuscire a crescere tenendo nello stesso tempo i conti in ordine. Adesso non stiamo crescendo, né tenendo i conti in ordine. Spiego meglio la situazione con dei numeri.

Prego.

Se guardiamo alla crescita del debito in valore monetario negli ultimi cinque trienni possiamo vedere come sia cambiata la gestione dei conti. Nel triennio 2003-05, l’aumento è stato di 147 miliardi rispetto al 2002. Il debito/Pil è rimasto invariato. Nel triennio 2006-08 l’incremento è stato di 153 miliardi, mentre il debito/Pil ha fatto registrare un +0,5%. Nel triennio 2009-11 di 237 miliardi (debito/Pil +14,1%). Dal 2012 al 2014 di 229 miliardi (debito/Pil +15,3%).Tra il 2015 al 2017 c’è stata un’inversione di tendenza: il debito in valore monetario è cresciuto di 132 miliardi e il debito/Pil è diminuito dello 0,4%. Quindi eravamo riusciti a frenare l’aumento del debito, che ora ci sta sfuggendo di nuovo di mano, visto che solo nel 2018 è cresciuto di oltre 50 miliardi.

Non teme che una decisione europea avversa all’Italia possa portarci in recessione?

Il punto è che noi siamo andati in recessione senza che l’Europa facesse nulla. Mentre l’Eurozona, nel primo trimestre dell’anno, ha registrato una crescita tendenziale dell’1,2%, noi abbiamo registrato un -0,1%. E nel frattempo abbiamo violato gli obiettivi concordati con l’Ue.

Secondo lei cosa ci chiederà l’Ue?

Non credo delle manovre draconiane, perché ha imparato da quanto successo in Grecia. A differenza nostra che non abbiamo imparato niente: ci siamo già dimenticati quanto ci è costato uscire dalla crisi del 2011 e stiamo entrando in un’altra allegramente pensando di essere un’armata invincibile e di poter sfidare Bruxelles, i mercati e le agenzie di rating. Dovevamo imparare come siamo usciti da quell’impasse.

Ovvero?

Ovvero con la flessibilità. Eravamo cioè andati a Bruxelles presentando anche riforme che da tempo venivano chieste al nostro Paese, come quella del mercato del lavoro, non applicando il Fiscal compact, ma riducendo gradualmente il deficit, che è passato da sopra il 3% al 2,4% del 2017, che comprendeva anche le risorse per i salvataggi delle banche. Nel 2018 è saltato tutto e nel 2019 siamo oltre il 3%. Credo che alla fine l’Ue non vorrà certamente dall’Italia un rispetto del Fiscal compact alla lettera, però ci chiederà almeno di non sforare il 3% del deficit/Pil. Non capiamo però dalle dichiarazioni degli esponenti del Governo se questo sarà possibile, visto che si parla di altri interventi in deficit come la flat tax.

(Lorenzo Torrisi)

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