Più si parla di pace, più la pace sembra sfuggire. Zelensky starebbe lavorando ad un “piano” in vista del prossimo febbraio; è lo stesso piano di pace di cui il presidente ucraino ha parlato al G20 di Bali e con Biden alla Casa Bianca. Ma la Russia ha fatto sapere che non è una base utile di discussione, perché prevede “il ritorno ai confini del 1991”.
Più singolare l’iniziativa dell’Unione Europea. A fine novembre Ursula von der Leyen aveva annunciato che l’Ue intendeva istituire un tribunale speciale contro la Russia e i suoi crimini in Ucraina. Secondo il Guardian una bozza di risoluzione sarebbe circolata in sede Onu. Ma vanno segnalate anche le recenti dichiarazioni di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, secondo il quale occorre trovare il modo di sospendere la Russia dal Consiglio di sicurezza dell’Onu per le sue sistematiche violazioni del diritto internazionale.
Due propositi contrari al sistema delle Nazioni Unite o addirittura “pericolosi”, secondo Pasquale De Sena, presidente della società italiana di diritto internazionale e ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo. Secondo il giurista sarebbe del tutto diverso se le opinioni pubbliche, ucraini compresi, facessero pressione sui governi per arrivare a una tregua. “Anche in contrasto con gli indirizzi della politica estera statunitense”.
Professore, tutti auspicano la pace, ma al momento se ne vedono le condizioni?
Ho la netta sensazione che esse non sussistano. Il conflitto è andato troppo avanti, e né la dirigenza russa, né il governo ucraino mi pare abbiano, rebus sic stantibus, la possibilità di tornare indietro, se non al prezzo della loro fine politica – se non anche fisica. Ciò non significa, naturalmente, che le società civili europee non debbano continuare a premere sui governi nazionali e sulle stesse istituzioni europee.
Ma a che scopo, se non vi sono le condizioni per la pace?
Quello di arrivare perlomeno a una tregua fra le parti. Anche in contrasto con gli indirizzi della politica estera statunitense.
Diversa è l’ipotesi di un armistizio. Che cosa pensa in proposito?
Credo che potrebbe avere senso, soprattutto al fine di aprire un’ampia discussione in Ucraina, visto che la popolazione civile – martoriata dalla guerra – potrebbe riprendere fiato e cominciare seriamente a spingere verso una fine definitiva delle ostilità.
E visto dalla Russia?
Credo che per la Russia un armistizio avrebbe meno senso, dal momento che, verosimilmente, non avverrebbe una cessazione delle sanzioni.
Tra i punti del “piano di pace” proposto da Zelensky vi è il “ritorno ai confini del 1991”. Ma il Cremino ha detto che non c’è possibile piano di pace senza le regioni annesse. Che ruolo ha – tra le molte altre – la questione territoriale?
Non mi soffermerei più di tanto su queste schermaglie, che si sono viste un’infinità di volte nel corso del conflitto, sia pure in forme diverse. Se è vero quello che ho detto sopra, esse trovano del resto spiegazione nel “cul de sac” in cui ci si è andati a infilare durante gli ultimi mesi. Naturalmente, la questione territoriale è destinata a rivestire un ruolo centrale sul piano strettamente giuridico. Tuttavia, a mio avviso essa potrebbe trovare una composizione nell’ambito di una più ampia sistemazione della questione della sicurezza in Europa, qualora si giungesse a un negoziato più ampio.
L’Unione Europea, ha detto Ursula von der Leyen, cercherà di istituire un tribunale speciale per l’aggressore, cioè la Russia, e i suoi crimini di guerra in Ucraina. Le chiederei prima una valutazione tecnica, poi politica. Veniamo alla prima.
Io non ho mai visto la bozza di risoluzione dell’Assemblea generale che secondo il Guardian sarebbe circolata al riguardo, in sede Onu, agli inizi di dicembre. Ciò premesso, il Consiglio di sicurezza – cui si deve l’istituzione del Tribunale per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda – non potrebbe certo istituire un simile tribunale, dati i prevedibili veti da parte russa e cinese.
E per quanto riguarda l’ipotesi che sia l’Assemblea generale a operare in tal senso?
Osservo che quest’ultima non è dotata del potere di istituire un tale tribunale. Ciò implicherebbe o una modifica – impossibile – del testo della Carta, o, in assenza, una violazione della Carta stessa.
Come vedrebbe invece l’ipotesi di un tribunale speciale, sotto il profilo politico?
Ritengo che avrebbe effetti negativi rilevanti: sia sul piano del conflitto, sia su un piano più ampio. Quanto al conflitto, mi pare che essa porterebbe con sé, di fatto, la rinuncia a qualsiasi finestra negoziale con l’attuale dirigenza politica russa. Tale rinuncia si spiegherebbe solo in una logica di debellatio della Russia, ovvero di rovesciamento dell’attuale regime di governo (“regime change”). Non solo. Una simile logica sottintende, sul piano giuridico, un deciso mutamento del titolo dell’azione occidentale, la quale non potrebbe più qualificarsi come un’ipotesi di legittima difesa collettiva (art. 51 della Carta Onu, corrispondente al diritto internazionale generale).
E su un piano di carattere più generale?
Due sono i gravissimi pericoli che intravedo. Anzitutto, a un’iniziativa dell’Assemblea nel senso dell’istituzione di un tribunale penale internazionale al fine di punire i vertici politico-militari russi per i crimini internazionali ad essi imputabili – aggressione, crimini di guerra e contro l’umanità –, si accompagnerebbe, con ogni probabilità, una spaccatura verticale dell’Assemblea medesima – e dell’Organizzazione – con conseguenze potenzialmente pericolose, non solo per le Nazioni Unite, ma per la comunità internazionale nel suo insieme.
L’altro pericolo?
La giustizia penale internazionale, nata per “depoliticizzare” certi comportamenti gravemente criminosi, in tal modo finirebbe per “ripoliticizzarsi”. E questo, perlomeno nella misura in cui essa sarebbe usata per scopi politici (l’attacco ai vertici politico-militari russi, nella prospettiva di un “regime change”), indebolendo ancor di più le istituzioni internazionali esistenti, cioè la Corte penale internazionale, e rischiando, quindi, di perdere qualsiasi residua credibilità.
Charles Michel ha detto che le Nazioni Unite devono sviluppare un meccanismo per sospendere l’adesione della Russia al Consiglio di sicurezza perché la Russia viola sistematicamente il diritto internazionale. Come commenta nel merito questa proposta?
C’è poco da dire. Essa equivale né più né meno che a liquidare il sistema delle Nazioni Unite, così come l’abbiamo conosciuto finora. Un sistema che, con tutti i suoi limiti, ha contribuito – si badi bene, anche con il diritto di veto – ad evitare, sin qui, lo scoppio di un conflitto nucleare devastante. Francamente mi sembra una boutade, purtroppo come molte altre.
Secondo fonti di stampa la Meloni starebbe valutando la fornitura a Kiev di un sistema di difesa avanzato terra aria Samp/T, di fabbricazione italo-francese. Quali sono le sue osservazioni su questa proposta e sui decreti di fornitura già approvati?
Mi faccia osservare che questa proposta ha perlomeno un merito, quello di rendere trasparente il contributo italiano alla difesa ucraina. Questo sinora non è avvenuto, dal momento che i contenuti concreti delle pregresse forniture sono stati decisi dal ministro della Difesa con decreti secretati. Ciò ha impedito che al riguardo potesse svolgersi un dibattito parlamentare davvero informato; per non parlare dell’opinione pubblica. Non sono un costituzionalista, ma nutro seri dubbi che tale prassi sia stata conforme allo spirito dell’articolo 11, anche a prescindere dalle diverse posizioni sulla copertura costituzionale dell’invio stesso delle armi. Ciò detto, c’è da augurarsi che le prossime decisioni del Governo diano davvero luogo a un autentico dibattito parlamentare e a una votazione.
(Federico Ferraù)
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