“La giustizia penale internazionale non nasce come fine e valore assoluto, ma come mezzo e strumento di pace” spiega al Sussidiario Annalisa Ciampi, ordinaria di diritto internazionale nell’Università di Verona, già Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui diritti alla libertà di associazione e di riunione pacifica.



L’Ucraina ha proposto di istituire un tribunale penale internazionale ad hoc per accusare e processare Putin del crimine di aggressione. Che si tratti di una iniziativa di Kiev è comprensibile, perché l’Ucraina è lo Stato aggredito. È più preoccupante che a difendere l’iniziativa continui ad essere Ursula von der Leyen, rinunciando in questo modo ad ogni possibile ruolo di compromesso.



La presidente della Commissione Ue ha infatti parlato di tribunale ad hoc almeno in due occasioni ufficiali, il 30 novembre 2022 e sabato 4 marzo scorso alla conferenza internazionale di Londra sui presunti crimini commessi dalla Russia in Ucraina. Ma “la giustizia penale internazionale usata come strumento per vincere la guerra” spiega Ciampi “anziché per porvi fine o quando la guerra è finita, non è più giustizia internazionale, è anch’essa arma di guerra”.

Viene rilanciata a fasi alterne l’ipotesi di una condanna e punizione dei crimini internazionali commessi da Putin – l’invasione e la guerra in Ucraina – dinanzi ad un tribunale penale internazionale. Qual è la sua opinione in merito?



Dovremmo riflettere di più sulle parole del papa: “la pace costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria”.

Quali macerie e quale pace?

È proprio questo il problema. La giustizia penale internazionale non nasce come fine e valore assoluto, ma come mezzo e strumento di pace, a sua volta a tutela della dignità umana e dei diritti fondamentali, essi sì valori assoluti.

Sono i tribunali ad amministrare la giustizia, almeno quella degli uomini. Da dove nasce la giustizia penale internazionale?

Era già prefigurata nel Trattato di Versailles del 1919, ma si afferma con il Tribunale di Norimberga, istituto dal Trattato di Londra stipulato fra le potenze allora alleate – Regno Unito, Stati Uniti, Francia e Unione Sovietica –, parallelamente al Tribunale militare internazionale di Tokyo, istituito dall’ordinanza del comandante supremo delle forze alleate in Estremo oriente, generale Mac Arthur.

Partiamo da Norimberga. 

Il Tribunale di Norimberga giudicò venti capi nazisti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma anche per crimini contro la pace: vale a dire la progettazione, la preparazione, lo scatenamento e la continuazione di una guerra di aggressione. Per questi crimini, il tribunale affermò il principio della responsabilità penale individuale per tutti, ivi compresi i capi di Stato e di governo e tutti gli organi di Stato, perché “i crimini sono commessi da uomini, non da entità astratte”, i subordinati rispondono anche se hanno agito nell’esecuzione di ordini e i superiori sono responsabili per i crimini dei loro subordinati.

Le sue osservazioni?

Sono principi fondamentali di civiltà, che a Norimberga poterono essere non solo proclamati ma affermati in concreto perché la seconda guerra mondiale era finita, e vi era stata la debellatio dello Stato tedesco. Va detto che fu un tribunale dei vincitori che giudicò sui crimini dei vinti.

Il Tribunale di Norimberga resta un unicum per quasi mezzo secolo. Poi se ne riparla dopo la fine della Guerra fredda, con i tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e il Rwanda. Chi li ha istituiti e perché?

Li ha istituiti il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come tribunali ad hoc per giudicare delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario (crimini di guerra), ma anche del genocidio e di altri crimini contro l’umanità commessi nel corso del conflitto nella ex Jugoslavia a partire dal 1991 e in Rwanda nel 1994. Il Consiglio di sicurezza – si sa – è l’organo delle Nazioni Unite che ha la responsabilità principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ed è proprio nell’esercizio di tale primaria responsabilità, che sono stati istituiti sia il Tribunale internazionale penale per la ex Jugoslavia sia quello per il Rwanda.

Ma con quali motivazioni?

Il Consiglio di sicurezza ha ritenuto che “nelle particolari circostanze” la persecuzione dei responsabili di fronte ad un tribunale internazionale costituisse un mezzo per porre fine a tali crimini e soprattutto contribuire alla “restaurazione e mantenimento della pace” fra gli Stati della ex Jugoslavia e “contribuire al processo di riconciliazione nazionale in Rwanda”.

Adesso però occorre spendere qualche parola sulla Corte penale internazionale, per evitare confusione. 

La Corte penale internazionale è stata istituita nel medesimo periodo storico con lo Statuto di Roma del 1998. Nasce come tribunale internazionale penale permanente e indipendente per giudicare dei più gravi crimini di rilevanza internazionale, ma con un rapporto (relationship) ben delineato con le Nazioni Unite. Lo Statuto di Roma riconosce il potere del Consiglio di sicurezza di investire la Corte di qualunque situazione in cui l’esercizio della sua giurisdizione può contribuire alla pace e alla sicurezza internazionali. Anche se i presunti crimini non sono stati commessi nel territorio o da cittadini di uno Stato parte. E riconosce perfino il potere del Consiglio di sicurezza di sospendere l’esercizio della giurisdizione della Corte penale internazionale, quando questo sia in contrasto con la finalità principale – delle Nazioni Unite e dell’ordinamento internazionale tutto – del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.

E il Consiglio di sicurezza può esercitare questi poteri in relazione al conflitto russo-ucraino?

Ovviamente no: non può esercitare né l’uno né l’altro potere, perché è bloccato dai veti incrociati di Russia e Stati Uniti. Inoltre né Russia, né Ucraina e neppure gli Stati Uniti sono parte dello Statuto di Roma. Anzi, gli Stati Uniti sono oppositori di lunga data della Corte, anche se con gradi diversi di ostilità a seconda del vento della Casa Bianca.

Però sappiamo che la Corte penale internazionale è stata investita dall’Ucraina, con due dichiarazioni ad hoc, della situazione dei crimini commessi nel suo territorio a partire dal 2013. Non solo. A tale dichiarazione si è aggiunta la richiesta congiunta di ben 43 Paesi parte dello Statuto di Roma, tra cui l’Italia. Che cosa impedisce di celebrare un processo?

Il procuratore della Corte penale internazionale ha avviato un’indagine che può riguardare crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, ma – attenzione – non l’aggressione, per la quale lo Statuto prevede un regime particolare, adottato a Kampala, nel 2010, le cui condizioni nel caso di specie non sono soddisfatte.

E perché non sono soddisfatte?

Perché per consentire alla Corte di esercitare la propria giurisdizione in relazione al crimine di aggressione, occorre la ratifica sia da parte della Russia, sia da parte dell’Ucraina (Stato aggressore e Stato aggredito). È il risultato voluto in particolare proprio dagli Stati Uniti, che hanno partecipato all’adozione degli emendamenti di Kampala, pur non essendo parti dello Statuto di Roma.

Nondimeno sappiamo che l’indagine va avanti ugualmente. Perché?

È un’indagine fondamentale ed è importante che sia già in corso di svolgimento da parte del procuratore della Corte penale internazionale congiuntamente ad Eurojust, per la documentazione e la conservazione delle informazioni sui altri crimini internazionali commessi in territorio ucraino per i quali la Corte è competente, a fini di responsabilità. Come lo stesso procuratore ha detto più volte, l’indagine riguarda tutte le parti in conflitto, siano esse l’Ucraina o la Federazione Russa, siano esse attori statali o attori non statali, perché il diritto internazionale si applica in egual misura a tutte le parti e tutti gli attori hanno determinati obblighi internazionali.

E tuttavia, come lei ha detto, non si può giudicare l’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. 

Precisamente. Di qui la proposta avanzata dall’Ucraina di istituire un Tribunale penale internazionale ad hoc per giudicare unicamente della responsabilità penale individuale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Si tratta di una proposta che, se dovesse avere seguito nelle presenti circostanze, segnerebbe l’eterogenesi dei fini della giustizia penale internazionale.

È un punto fondamentale. Perché non ci sarebbero le “particolari circostanze” che hanno permesso invece al Consiglio di sicurezza di istituire i tribunali internazionali penali ad hoc per ex Jugoslavia e Rwanda?

Perché “le particolari circostanze” sono che il conflitto russo-ucraino è ancora in corso, dopo un anno, e cresce quasi quotidianamente nelle sue dimensioni per pericolosità dei mezzi utilizzati e gravità – ormai irreparabilità – delle conseguenze in termini di perdita di vite umane e risorse economiche, distruzione del patrimonio culturale e dell’ambiente. Ecco, in queste circostanze, la proposta di istituire un tribunale speciale per l’aggressione – il più grave fra tutti i crimini internazionali e per definizione un “leadership crime” – in relazione alle responsabilità della leadership politica e militare russa, non pare uno strumento che possa contribuire al ripristino e al mantenimento (restoration and maintenance) della pace e della sicurezza internazionali.

Se una simile proposta non è una proposta di pace, che cos’è?

È atto di guerra, anche se posto in essere nell’esercizio della legittima difesa da parte ucraina e degli Stati che la sostengono. Un atto che prolunga la guerra, con l’aggravamento di tutte le sue conseguenze.

Sarebbe questa l’eterogenesi dei fini?

Precisamente. L’istituzione di un tribunale speciale per l’aggressione contro l’Ucraina da strumento di pace diventerebbe arma di guerra.

Cosa spiega questo capovolgimento?

La pace costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria, ci ha ricordato il papa. In più il conflitto russo-ucraino è una guerra convenzionale a tutto campo, che si combatte ormai da ogni parte con tutti i possibili mezzi, convenzionali e non. Non si combatte solo con il sostegno militare e finanziario degli alleati, l’accoglienza dei rifugiati e l’assistenza umanitaria. Tutto diventa armamento. A partire dal commercio internazionale: nel settore energetico – gas e petrolio –, ma anche in quello tecnologico, etc. Si combatte anche con le politiche di aiuto allo sviluppo e le scelte in materia di transizione ecologica e digitale. È una militarizzazione totale.

E questo quadro così compromesso che cosa comporta?

Comporta che la militarizzazione della giustizia internazionale, la weaponization of international justice, deve essere evitata. La giustizia penale internazionale, usata come strumento per vincere la guerra anziché per porvi fine o quando la guerra è finita, non è più giustizia internazionale a tutela di valori comuni. Da chi poi il proposto tribunale speciale potrebbe essere credibilmente istituito e supportato? Non certo dagli Stati Uniti, che della Corte penale internazionale, come abbiamo visto, sono sempre stati strenui oppositori.

Nemmeno dall’Unione Europea?

Il Parlamento europeo ha adottato il 19 gennaio 2023 una risoluzione sull’istituzione di un tribunale che si occupi del crimine di aggressione contro l’Ucraina e gli Stati membri sono stati protagonisti di ben due risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con il medesimo oggetto (del 28 aprile 2022 e del 26 gennaio 2023). Peccato che sia quello stesso Consiglio d’Europa che il 16 marzo 2022 aveva deliberato la cessazione dello status di membro della Federazione Russa con effetto immediato.

Con quali conseguenze?

Così facendo si è perso uno dei tavoli più preziosi per l’apertura di possibili negoziati e privato l’intero popolo russo della tutela ancora più preziosa che derivava dalla possibilità, conquistata nel 1996, di ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Quali conclusioni si sente di trarre da tutto questo? Che cosa può ancora cambiare le “circostanze”? 

Non siamo stati capaci di porre fine alla guerra civile in Siria né di ripristinare lo stato di diritto in Afghanistan. Ma una guerra in Europa che nessuna delle parti riesce a vincere dopo un anno sul campo, richiede compromessi da entrambe le parti.

(Federico Ferraù)

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