“OK FIGLI CON DUE MAMME”: LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI PADOVA RESPINGE I RICORSI DELLA PROCURA

Il Tribunale di Padova respinge i ricorsi della Procura e di fatto apre, oltre 6 mesi dopo, alla possibilità di avere mamme LGBTQ con figli di fatto con doppio cognome: la decisione presa nella giornata del 5 marzo scorso vede il Tribunale dichiarare inammissibili i ricorsi con cui la Procura di Padova aveva chiesto di cancellare il cognome della “mamma intenzionale” (non quella biologica, ndr) dagli atti di nascita di 37 bambini. I piccoli erano infatti stati concepiti tutti all’estero da 37 coppie di donne omosessuali e registrati dal Comune di Padova all’anagrafe con anche il cognome della compagna della madre.



In questo modo, il Tribunale rispedisce indietro tutti i ricorsi dando via libera al doppio cognome e aprendo, nei fatti, alle mamme “arcobaleno”. Il tema è piuttosto complesso visto che da mesi – come dimostra il recente caso del Comune di Milano – è in corso una diatriba tra procure, Governo e Unione Europea per la situazione anagrafica dei figli di mamme LGBTQ. Nel caso milanese, la recente sentenza della Corte d’Appello ha dichiarato illegittime le trascrizioni dei figli con due mamme, bocciando il “registro Sala” (il Registro degli atti di nascita della doppia maternità del bambino) in quanto per la legge italiana non è possibile avere due madri. In quel caso la Corte di Milano aveva però chiesto allo Stato di intervenire al più presto per operare normative ad hoc sulla situazione di “limbo” in cui si trovano le famiglie arcobaleno con figli nati da fecondazione assistita all’estero. Anche in quel caso era sorto lo scontro tra Procura e Tribunale, con la vittoria della prima sui giudici: nel caso di Padova invece la decisione della Procura è stata ora stoppata dal Tribunale amministrativo che riconosce come inammissibili gli oltre trenta ricorsi contro il doppio cognome.



COSA DICE (DAVVERO) IL TRIBUNALE DI PADOVA E COSA PUÒ CAMBIARE ORA

«I procedimento di rettificazione degli atti di stato civile», si legge nell’ordinanza del Tribunale di Padova riportato da SkyTG24, «è ammesso solo nei casi in cui debba disporsi l’integrazione di un atto incompleto, o la correzione di errori materiali, o l’eliminazione di eventuali omissioni nelle quali si sia incorsi nella redazione dell’atto, quando debba provvedersi alla ricostruzione dei registri distrutti o smarriti». Al di fuori di tali casi, proseguono i giudici, quando si deve procedere con «accertamenti costitutivi influenti sullo stato delle persone», il giudizio deve svolgersi «nelle forme del processo ordinario di cognizione, con la partecipazione dei soggetti che hanno interesse a contraddire alla domanda».



Il Tribunale di Padova fa riferimento a sentenze della Cassazione sottolineando come «nell’azione di rettificazione degli atti di stato civile occorre escludere che lo stato che si vuol documentare sia oggetto di controversia»: questo perché mentre per il procedimento di rettificazione «l’oggetto formale immediato del giudizio è l’atto, nel giudizio di stato la (eventuale) rettifica dell’atto di stato civile sarà la conseguenza del giudizio svolto sul fatto posto a suo fondamento». Resta però più un procedimento “tecnico” che non di sostanza in quanto l’effettiva aperture alle “famiglie arcobaleno” deve avvenire in termini costituzionali e legislativi, non certo giudiziari: come spiega infatti il Tribunale, il ricorso della Procura contro il doppio cognome dei figli di mamme LGBTQ (cioè contro il cognome dato anche della madre intenzionale), non può avvenire contro l’atto ufficiale dell’anagrafe – come effettuato invece – ma avrebbe dovuto riferirsi «azioni di status del minore, che vanno percorse con rito ordinario».

“OK A MAMME LGBTQ”: LE REAZIONI ALLA DECISIONE DI PADOVA, DA SCHLEIN ALLA MINISTRA ROCCELLA

«Oggi vince l’amore e l’interesse primario delle piccole e dei piccoli»: così ha commentato il sindaco di Padova Sergio Giordani, parlando poi di un «passo avanti. Ho sempre ritenuto di agire secondo coscienza e secondo i principi della Costituzione». Il sindaco in quota Pd ha infine aggiunto un ulteriore appello al Parlamento a colmare «un grave vuoto normativo e a legiferare per tutelare queste famiglie». Sulla decisione del Tribunale di Padova è intervenuta poi anche la segretaria Pd Elly Schlein che ha allargato i termini della questione attaccando il Governo di Centrodestra: «Meloni continua a far muro o ci lascia essere in linea con l’Ue?».

Secondo la leader Dem, il Governo non può continuare a ignorare e «calpestare la dignità e i diritti di centinaia di bambine e bambini chiudendo gli occhi di fronte alla pluralità di modelli familiari che sono presenti nel nostro Paese». Diretta la replica giunta all’ANSA dalla Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella: «In Italia i bambini sono tutti uguali e hanno tutti gli stessi diritti: lo ha riconosciuto di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e, prima ancora, la Corte di Cassazione a sezioni unite sottolineando che il Governo Meloni non ha modificato una virgola del nostro ordinamento». Non solo, conclude Roccella, esistono procedure semplici e accessibili «che valgono sia per le coppie eterosessuali che per quelle omosessuali». Immediata la controreplica di Schlein che ritiene Roccella e tutto il Governo colpevoli di non rispettare le difficoltà che le famiglie omogenitoriali «sono costrette ad affrontare in questo Paese»: secondo la segretaria del Pd, non esistono affatto procedure semplici e accessibili in quanto tali famiglie LGBTQ «devono rivolgersi a un giudice e affrontare un iter lungo, costoso, faticoso e invasivo». All’ANSA giunge l’ultima contro replica di Roccella che si rivolge a Schlein sottolineando come la procedura indicata dalla Corte di Cassazione per le coppie omosessuali – ovvero quella per l’adozione in casi particolari – «è la stessa che da decenni viene utilizzata dalle coppie eterosessuali. Centinaia di mamme single hanno fatto ricorso a questa procedura, prevista a tutela e garanzia dei bambini, e non risulta che essa sia mai stata contestata nei lunghi anni nei quali il Pd è stato al governo».