Accelerare il processo di rientro dell’inflazione che già ha iniziato a fare sentire i propri effetti negli ultimi mesi. È l’obiettivo dichiarato del Trimestre antinflazione, il provvedimento voluto e proposto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), Adolfo Urso, che dal 1 ottobre al 31 dicembre intende introdurre prezzi calmierati su una selezione di articoli che compongono il “carrello della spesa”, attraverso diverse modalità. Il ventaglio operativo immaginato dal Mimit spazia infatti dall’applicazione di prezzi fissi alle attività promozionali sui prodotti individuati, passando per le iniziative sulla gamma di prodotti a marchio, come carrelli a prezzo scontato o unico.
I dati Ocse
La misura punta, dunque, diritto a rafforzare la parabola discendente dei rincari, che ha premiato in particolare il nostro Paese: “Secondo i dati Ocse – osserva lo stesso ministro Urso – nell’ultimo mese l’inflazione in Italia è scesa dal 7,6% al 6,4%, mettendo a segno un calo di 1,2 punti percentuali, maggiore rispetto a quello registrato nell’area Ocse dove l’indice dei prezzi al consumo si è ridotto in media dello 0,8%”. Un risultato incoraggiante, dunque che, secondo l’analisi del ministro, è riconducibile alla politica messa in atto dall’attuale Esecutivo in collaborazione con la filiera: “Si tratta – spiega Urso – di un trend consolidato grazie all’effetto del costante monitoraggio dei prezzi effettuato dal Mimit, con i nuovi poteri conferiti dal Decreto trasparenza di gennaio, e anche grazie all’impegno già in atto da distribuzione e commercio, che in questi mesi hanno svolto un ruolo importante nel contenimento dei prezzi e nella tutela del potere di acquisto delle famiglie”. Senza dimenticare “il contributo centrale svolto anche dalle associazioni dei consumatori, con cui condividiamo un percorso virtuoso nell’affrontare questa sfida”.
Un sì a metà
Il problema è che la proposta presentata dal Mimit, al momento, è stata accettata solo da una delle due principali parti in causa, quella distributiva, che ha voluto rinnovare “la propria disponibilità a collaborare con il Governo per contrastare gli effetti dell’inflazione sul potere d’acquisto degli italiani”, ha detto il Presidente di Federdistribuzione Carlo Alberto Buttarelli, a margine della sottoscrizione della lettera d’intenti che lega le catene aderenti all’iniziativa. “L’impegno del settore nel contrasto all’aumento dei prezzi– ha continuato Buttarelli – dura ormai da diciotto mesi, nei quali le aziende distributive hanno messo in campo uno sforzo economico straordinario, sacrificando i propri margini, per contenere il più possibile l’impatto inflattivo al consumo derivante dai rincari dei prezzi di produzione”.
Il no dell’industria
Da parte dell’industria, invece, per ora la sottoscrizione del protocollo non è stata ritenuta “praticabile”. Una presa di posizione motivata in una lunga e articolata nota stampa rilasciata da Centromarca, Associazione Italiana dell’Industria di Marca, cui fanno riferimento circa 200 tra le più importanti industrie operanti nel settore dei beni di largo consumo, e Ibc, Associazione Industrie Beni di Consumo che riunisce 33mila imprese per un giro d’affari stimato in 100 miliardi di euro. “La decisione – si legge nel documento – è stata presa tenendo conto sia di aspetti sostanziali sia di valutazioni di carattere formale e giuridico”. In primo luogo, le due associazioni hanno puntato i riflettori sul tema dei costi alla produzione. “La gran parte delle industrie – affermano Centromarca e Ibc – è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente”. E, numeri alla mano, le fluttuazioni sono consistenti: secondo Nomisma – osservano le associazioni – tra gennaio 2020 e giugno 2023 lo zucchero ha registrato una progressione del +74%, i cereali del +26%, la carne del +14%, i prodotti lattiero caseari del +12%, gli olii vegetali +6%. E non solo. Rispetto a gennaio 2021, il costo del vetro è cresciuto dell’88%, quello della carta del 65%, quello del pet del 37%. Si consideri poi che i costi logistici si mantengono alti e la marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto.
Il peso dei conti
“Il quadro complessivo – concludono Centromarca e Ibc –non consente quindi previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. E un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo, soprattutto delle piccole e medie imprese, e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità”. A spingere verso la mancata sottoscrizione c’è poi il peso di conti già messi sotto pressione dalla contingenza dei mesi passati. “I bilanci industriali – rilevano le due associazioni – registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che, consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie, i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti (materie prime, energia, imballaggi, trasporti) anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nel settore alimentare, infatti, i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%”. Come dire insomma che l’industria porta sulle proprie spalle un carico già pesante. Una tesi sostenuta dai numeri: “In media d’anno – affermano le due associazioni – nel 2022 i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10%”. E non solo. “L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che sempre nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro”, osservano Centromarca e Ibc.
Controlli e Antitrust
Non ultimo, le due associazioni rilevano un ostacolo di tipo formale. “Verifiche legali – conclude la nota – hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e a Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della Legge, agisce infatti in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate”.
Lo spiraglio
Nelle ultime ore, tuttavia, qualcosa pare essere cambiato. “Si apre qualche spiraglio sulla possibilità che anche il settore industriale aderisca al patto anti-inflazione” riporta l’Ansa, secondo cui “alcune sigle dell’industria riuniranno nei prossimi giorni i propri consigli direttivi per approfondire la possibilità di partecipare al patto”. La questione però resta calda, come confermano le reazioni delle associazioni dei consumatori. Assoutenti informa di valutare “un esposto all’Antitrust per la possibile fattispecie di cartello a danno dei consumatori contro produttori e industrie che si oppongono al paniere anti-inflazione varato dal Governo”. Il presidente Furio Truzzi è netto: “L’industria alimentare italiana è al primo posto per fatturato dei settori manifatturieri d’Italia, raggiungendo i 179 miliardi di euro all’anno, con un export che supera i 50 miliardi di euro. Il settore food ha registrato una crescita del 12% nel 2022, che proseguirà nel biennio 2023-2024 con tassi superiori al Pil.
Dati che attestano come ci siano margini per una riduzione dei prezzi nel comparto alimentare rinunciando a una parte dei profitti, e come l’ostruzionismo di industria e produttori verso iniziative tese a far scendere i listini al dettaglio sia del tutto pretestuoso”. Il Codacons punta invece il dito sulla scivolosa questione dei controlli. “In loro assenza – si legge in una nota – anche i provvedimenti inseriti nel protocollo sono destinati a rimanere sulla carta, mancando l’obiettivo di incidere sulla vita concreta degli italiani”.
Per questo, aggiunge l’associazione, “le verifiche devono scattare da subito e il ministro deve impegnarsi attivamente per impedire ulteriori rincari anche prima di ottobre: il rischio, infatti, è che i produttori/distributori approfittino della finestra temporale “libera” fino a ottobre per alzare i prezzi, per poi rispettare le indicazioni ministeriali a guadagno ottenuto. Una possibilità che va evitata a tutti i costi: in primis tramite controlli dedicati, prima di ottobre; in secondo luogo affidando ai consumatori una funzione di segnalazione e denuncia. E proprio in questa prospettiva il Codacons ha già sviluppato un form dedicato: compilandolo, i cittadini possono segnalare aumenti improvvisi dei prezzi di beni e servizi, dal caffè all’ortofrutta, dalla carne ai ristoranti”.
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