Non si era  mai visto prima che oltre 900mila fans di una serie tv chiedessero, sottoscrivendo una petizione promossa da Change.org, di riscrivere completamente il finale dell’ultima stagione, in aperto dissenso con gli sceneggiatori. L’ottava stagione di Trono di Spade rischia quindi di essere ricordata come il primo episodio di “populismo televisivo”. I motivi del dissenso sono diversi, ma possiamo riassumerli nel rigetto pressoché  totale delle scelte che gli autori hanno fatto quando sono dovuti passare dal raccontare una lunga storia di tradimenti, colpi di scena, gesta avventurose al momento in cui hanno scritto il finale.



Fino al massacro di gente inerme compiuto dalla regina dei draghi nel corso dell’ultimo episodio trasmesso domenica scorsa. «Il mondo sappia che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare. Abbiamo vinto la gara per la scoperta dell’atomica contro i tedeschi. L’abbiamo usata per abbreviare l’agonia della guerra, per risparmiare la vita di migliaia e migliaia di giovani americani, e continueremo a usarla sino alla completa distruzione del potenziale bellico giapponese». Con queste parole il presidente degli Stati Uniti Harry Truman diede l’annuncio della prima bomba nucleare sganciata sul Giappone. Questa dichiarazione potrebbe ispirare Daenerys Targaryen quando stanotte (ore 3 italiane di lunedì mattina, Sky Atlantic) dovrà spiegare perché ha raso al suolo Approdo del Re, nonostante fossero chiari i segnali di resa della città.



Game of Thrones è la serie tv più politica degli ultimi anni – ad  esclusione di House of Cards, troncata sul più bello a causa dall’estromissione dal cast di Kevin Spacey – e  ha coinvolto per quasi 10 anni oltre 40 milioni di spettatori. Le trame di potere che per ben 7 stagioni hanno insanguinato le contrade di Westeros, un mondo fantastico sospeso in un’epoca ipotetica simile dal punto di vista tecnologico al Medioevo, richiamano la politica come è percepita ai giorni nostri: un infinito gioco di potere.

Stanotte dovremmo finalmente conoscere il nome di chi siederà sul trono di spade o se ci sarà ancora un trono su cui sedere. Le scene di distruzione viste nella quinta puntata lasciano davvero poche speranze che qualcosa sia rimasta in piedi nella vecchia capitale.



In realtà i “contestatori” non accettano proprio  l’idea che la serie finisca. Criticano l’eccessiva velocità con cui stanno accadendo le cose, il fatto che molti personaggi – soprattutto i più amati – siano improvvisamente morti, e non accettano la piega da “realpolitik” che ha preso la storia, proprio quando la politica ha dovuto mettere da parte i sentimenti.

Per gli sceneggiatori non dev’essere stato facile scrivere l’ultima stagione. Giunti agli episodi chiave hanno dovuto decidere chi far vincere e chi no e questo ha profondamente diviso il popolo di Trono di Spade.

È successo in pratica quello che accade nella politica reale. Mai prendere una decisione controversa, mai dire cosa si pensa fino in fondo, mai far valere il merito sul punto di vista più popolare: si è subito sommersi da una marea di insulti. Nel nostro caso tutti si sentono registi, fotografi, sceneggiatori, esperti in effetti speciali. La sorte toccata agli scrittori di Trono di Spade insomma non ha nulla da invidiare ai politici di oggi.

In questo clima negativo verso gli autori cresce l’attesa e si sprecano le ipotesi su come andranno le cose. Chi ha visto la quinta puntata un’idea comunque se l’è fatta.

Le più accreditate alla vittoria finale sono le donne. Cersei Lannister si è eliminata da sola. Convinta di poter vincere la battaglia decisiva con un’armata di mercenari e un colpo di fortuna, non ha voluto sentir ragioni e non ha preso atto per tempo che l’assedio non le dava alcuna speranza. Ha provocato la sua avversaria in ogni modo: per sfregio ha decapitato brutalmente l’amica Missandei, ha offerto donne e bambine al fuoco del drago, ha rifiutato ogni compromesso. Nei panni di Daenerys era oggettivamente difficile immaginare un accordo. Altrettanto poco disponibile appare Sansa Stark, più interessata a vanificare in ogni modo i tentativi di Jon Snow di tenere insieme il Nord come alleato fedele della regina venuta da Sud. Anche Arya sembra troppo legata al suo ruolo di ragazza-guerriera per aspirare a ruolo politici (oltre che familiari).

Ancora più ristretta la rosa dei candidati maschili: Jon Snow – l’erede legittimo dei Targaryen con sangue Stark nelle vene – ha rifiutato di sposare la zia-regina che lo ama. Dovrebbe eliminarla, come immaginano molti, sospettando la sua pazzia. Ma anche questa ipotesi sembra davvero lontana dal Jon Snow ormai appagato dalla vittoria riportata sull’esercito della Notte e disinteressato dal potere. È più probabile che decida il ritiro nel profondo Nord, dove lo aspettano i suoi veri amici e il fedele metalupo. Il nano Tyrion dovrebbe dare seguito – come prevedono molti – al volere del suo amico Varys, che però non ha esitato a tradire e a far giustiziare. Oppure dovrebbe risposare Sansa, come molti auspicano. Senza contare che egli sarebbe l’ennesimo re Lannister a salire sul trono, ultimo superstite di una famiglia che ha fatto di tutto per farsi distruggere. C’è chi già paventa un governo tecnico guidato dal corvo con tre occhi, al secolo il giovane Bran Stark.

Si dà per scontato che la regina dei draghi sia nel frattempo impazzita, come accadde al padre. Daenarys è sicuramente scossa e duramente provata per tutto ciò che ha dovuto affrontare. Durante l’ultimo colloquio avuto con Jon Snow ha chiaramente detto di voler diventare una regina temuta più che amata. Ma la possibilità di un ribaltamento a sorpresa, con un improvviso colpo di scena mi sembra, a questo punto, davvero improbabile. È più ragionevole immaginare che la regina dei draghi regni da sola, con i suoi sensi di colpa e senza eredi, e che rimandi ad un futuro prossimo il momento di scegliere soluzioni di governo più democratiche. Insomma, non apparirà la fatidica scritta “e vissero tutti felici e contenti”.

Il Trono di Spade è una metafora del potere. E il potere non può essere mai sinonimo di felicità.