Poco dopo il recente intervento della premier Giorgia Meloni sulla denatalità, imputata a dei “cattivi maestri che per decenni hanno proclamato il falso mito che la genitorialità è qualcosa di stantio”, la sociologa Chiara Saraceno ha pubblicato una personale riflessione sulle pagine della Stampa, partendo proprio da quei cattivi maestri che, scrive, “non so chi” siano. Dal conto suo, spera che tra di loro non siano inclusi “le studiose e gli studiosi che segnalano quanto sia difficile per una donna unire maternità e lavoro remunerato nel nostro Paese”.



La denatalità non è una questione di ideologia o di ‘cattivi maestri‘, ma piuttosto un fatto, sostiene ancora Saraceno, “empiricamente documentato” e che parla di “un 20% circa di donne esce ogni anno dal mercato del lavoro per cause familiari”, così come del fatto che “la maternità rallenta la progressione di carriera e spesso diviene motivo di mobbing o emarginazione aziendale che le lavoratrici con figli hanno un reddito e successivamente una pensione, non solo più bassa degli uomini, ma anche delle donne senza figli”. In tal senso, se il governo vuole veramente puntare a ridurre il complesso fenomeno della denatalità, dovrebbe “prendere atto di queste difficoltà e ingiuste penalizzazioni per intervenire”, senza limitarsi a “denunciare come ideologici chi le analizza e sottopone all’attenzione pubblica”.



Saraceno: “I proclami non invertiranno la rotta della denatalità, servono politiche reali”

Andando avanti nel suo intervento, poi, Saraceno ci tiene anche rapidamente ad analizzare gli effetti delle politiche che il governo rivendica a sostegno delle famiglie, parendo dalla “decontribuzione” che seppur sia positiva (almeno nell’ottica della denatalità), “riguarda la platea ristretta di madri lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che hanno almeno tre figli”. Vengono, insomma, escluse “le lavoratrici più fragili”, non solo dalla decontribuzione, ma anche dal “meccanismo delle aliquote fiscali”, o dai “bonus nido” che ignorano chi, “per definizione”, non vi ha accesso “perché non c’è”.



Non solo, perché “non c’è alcun accenno ad una politica dell’abitazione che aiuti i giovani ad uscire di casa”, mentre si rifiutano categoricamente idee come “il salario minimo o la riduzione del precariato e del part-time involontario”. Ma ancora, vi è un ulteriore ostacolo che accentua la denatalità, almeno secondo Saraceno, che riguarda il fatto che “nulla si fa per incentivare i padri ad essere più presenti sulla scena della cura dei bimbi piccoli”. Non saranno, conclude la sociologa, “i proclami pro natalità, pro famiglia tradizionale con ruoli chiaramente distinti, contro l’omogenitorialità” ad invertire la rotta della denatalità, “bensì politiche che promuovono l’uguaglianza tra uomini e donne, e tra padri e madri, dentro e fuori la famiglia”.