La lunga attesa per la quarta stagione di True Detective – una delle serie tv più amate dal pubblico del genere “crime” – ha contribuito ad alzare di molto l’asticella del gradimento. Per cui dopo l’uscita del sesto e ultimo episodio – ora la stagione è interamente disponibile su Now Tv – si è aperto inesorabile il dibattito tra i sostenitori della stagione intitolata Night Country scritta da Issa Lopez e interpretata da Jodie Foster, e i “delusi”, che si aspettavano molto di più.
Come sappiamo le “stagioni” di True Detective sono totalmente diverse l’una dall’altra e ognuna è una storia a sé. Gli unici tratti distintivi riguardano l’importanza del luogo dove si svolge, la coppia di investigatori, la complessità delle indagini. Nella quarta stagione la scelta del luogo prometteva molto, visto che la storia è stata ambientata in Alaska (anche se poi è stata in realtà girata in Islanda), durante la lunga notte polare di circa 60 giorni. Questa volta la coppia di investigatori è costituita da due donne: la prima è una poliziotta indigena, appartenente alla tribù locale degli Inupiat, mentre la seconda è stata spedita nelle fredde terre del nord-ovest per i motivi che si scoprono lungo il racconto. La complessità del caso è rappresentato dal raccapricciante ritrovamento dei corpi attorcigliati nel ghiaccio di 7 uomini, l’intero gruppo di ricercatori che operavano in un centro scientifico abilitato alle ricerche sul permafrost.
L’Alaska, pur ritrovandosi alla stessa latitudine della Norvegia, è un Paese inospitale, e non solo per il freddo e il ghiaccio. L’infelicità diffusa tra i suoi abitanti è da ricollegarsi alla qualità della vita e alla qualità dell’ambiente, a causa dello sfruttamento massiccio del territorio, trasformato nel principale polo industriale minerario del Paese, vista la presenza di materie prime essenziali per l’economia americana. La prima questione che emerge è proprio quella ambientale, avendo l’uomo trovato il modo di violentare e inquinare uno dei territori più belli del pianeta. In questo caso, quindi, quello che fa da sfondo all’intera vicenda sono i dritti della natura, l’uso del territorio fatto da speculatori privati senza scrupoli, le responsabilità del mondo della ricerca, orientato al business più che al miglioramento della vita di chi abita in queste zone.
Le due donne che decidono di avviare l’indagine sul caso dei ricercatori morti non hanno inizialmente lo stesso punto di vista. L’agente Angie Navarro, interpretata da Kali Reis, è una ragazza del posto, considera i bianchi degli invasori, combatte da anni la violenza sulle donne. Liz Danvers, il capo della polizia interpretato dalla Foster, è invece una donna dura, affatto aperta al dialogo, anche un po’ razzista. Poco disponibile a prendere in considerazione le supposizioni della collega che vuole collegare il caso dei ricercatori trovati morti a quello irrisolto di qualche anno prima, quando fu ritrovato il cadavere di una giovane ambientalista.
Nella lunga e fredda notte polare, a cavallo tra la vigilia di Natale e la notte di Capodanno, le due donne riescono a mettere insieme tutti gli indizi di una vicenda che trova la sua conclusione sorprendente solo alla fine. Nasce così una solidarietà tra di loro che trasforma la loro relazione in una profonda amicizia e le aiuta a comprendere meglio le ragioni delle loro scelte e delle asprezze dei loro caratteri. Le due poliziotte diventano per la gente del posto le eroine di una vittoria schiacciante delle donne, di chi si batte in difesa dell’ambiente, di chi vuole affermare un’idea di giustizia che tutela i più deboli e chi ha ragione. Cosi quando ritorna la luce, gli abitanti di quelle terre ritornano a vivere meno rassegnati, nella convinzione che un mondo più giusto è possibile, al di là delle stesse leggi degli uomini.
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