Società fasulle, con costi solo sulla carta, per sfruttare i fondi del PNRR. L’indagine della Guardia di finanza di Venezia, che ha portato a 24 misure cautelari, mette a fuoco il pericolo delle truffe ideate per accaparrarsi i finanziamenti previsti dal Piano. Va però ricordato che l’Italia, con i suoi 194 miliardi di euro richiesti (101 già arrivati), è il Paese che usufruisce di più delle opportunità offerte dall’Europa. Il problema, però, spiega Annalisa Giachi, responsabile Ricerche di Fondazione Promo Pa e coordinatrice OReP, Osservatorio sul Recovery plan, non è solo questo: il nostro Paese ora deve dimostrare di saper portare avanti i cantieri aperti rispettando il cronoprogramma presentato alla UE. Altrimenti, i soldi per completare le opere non arriveranno, perché vengono pagati a performance.
Come è stata commessa la truffa scoperta sul PNRR?
Veniva realizzata con società fittizie che chiedevano i fondi PNRR presentando un progetto con bilanci falsi. Una volta approvato, il piano ha seguito il suo iter, con il pagamento della quota SAL (stato avanzamento lavori) in seguito all’emissione di fatture. Questo è successo in relazione alla Missione 1, relativa alla digitalizzazione e all’internazionalizzazione, dove ci sono crediti di imposta: gli incentivi sfruttati, in questo caso, riguardavano soprattutto possibilità di attività all’estero e partecipazione a fiere, misure essenzialmente rivolte alle PMI. Sono quelle più facili da attuare, partite più rapidamente.
Una vicenda cui se ne aggiungono altre che riguardano l’Italia. Ci stiamo facendo riconoscere?
L’Italia è il Paese più esposto perché ha il PNRR più consistente, 194,4 miliardi di euro, e un ammontare di progetti molto superiore agli altri. A livello europeo su 208 procedure di frode avviate 176 sono relative all’Italia, per la maggior parte di vicende simili a quella appena emersa, nella quale risulta il coinvolgimento di persone non italiane, di società in Austria, Slovacchia, Romania. Il tema dei controlli resta, anche se dal punto di vista delle procedure burocratiche c’è molta attenzione su tutto: per ogni atto, SAL o fattura vengono richieste decine di documenti che attestino chi è il titolare delle aziende, lo stato dei conti. Come sempre tutto questo per il piccolo imprenditore onesto si traduce in una mole di lavoro non indifferente, per chi vuole sfruttare la situazione a volte non basta neanche questo sbarramento di carte.
Ma i controlli materialmente, chi li conduce?
Ci sono tantissimi livelli: il primo è la Corte dei conti, che fa dei controlli anche a livello trimestrale, chiedendo agli enti dati su aggiornamenti e affidamenti. In parte sono controlli automatici perché la piattaforma Regis, su cui vengono comunicate le rendicontazioni, è collegata con le banche dati delle prefetture e delle camere di commercio. E poi ci saranno tutti i controlli della Corte dei conti europea, degli uffici della Commissione che verificheranno la regolarità delle azioni. Sulle procedure di gara c’è ANAC, l’Autorità anticorruzione. Il sistema è abbastanza impostato, poi non sempre si riesce a intercettare le truffe. Se i controlli non si facciano o meno è un altro discorso. Dipende da molti aspetti, come il funzionamento degli uffici locali della Corte dei conti. Ogni soggetto ha un suo compito.
C’è una Procura europea, l’EPPO, che indaga. Che ruolo ha?
È un ente che fa parte delle istituzioni comunitarie e controlla il corretto utilizzo dei fondi europei, non soltanto del PNRR. Trattandosi, in questo caso, di svariati miliardi a livello continentale, è stata attivata in più di un caso.
Ma i controlli vengono fatti subito? La truffa è stata scoperta relativamente in fretta?
In realtà, per alcuni, era stato erogato il primo 50% dei fondi fatturati, ottenendo soldi usati poi per altri scopi. I controlli sono a più livelli, all’inizio del progetto e in itinere, e ci saranno dopo la realizzazione, entro 10 anni dalla fine. Come ha detto anche il presidente dell’ANAC, però, i controlli bisogna farli.
Quali sono le missioni del PNRR più a rischio di truffa?
I rischi ci sono soprattutto dove ci sono i progetti più importanti, consistenti anche per l’ammontare dei lavori relativi alle infrastrutture, alle opere pubbliche. Qui aumenta il pericolo di infiltrazioni, mi riferisco alle infrastrutture sanitarie e ferroviarie, all’alta velocità, dove le cifre sono imponenti e fanno gola. Dall’altra parte ci sono procedure con importi minori ma dove è più facile ottenere i soldi: credito di imposta, incentivi all’internazionalizzazione e alla digitalizzazione, per la ristrutturazione di edifici. Ricordiamoci che lo stesso ecobonus, quindi tutti i crediti d’imposta legati all’edilizia, è stato in parte finanziato dal PNRR. Qualche truffa c’è stata anche qui.
A che punto è il PNRR italiano, quante rate e quanti soldi ci sono arrivati?
L’Italia ha ricevuto più del 50% della dotazione del nuovo piano, 101,8 miliardi, siamo al 52% dell’ammontare complessivo che è quasi 195. Ci hanno già dato quattro rate più l’anticipo versato e abbiamo fatto richiesta della quinta rata, che dovrebbe arrivare a breve, si tratta di 12 miliardi. Siamo l’unico Paese arrivato alla quinta rata, tutti gli altri sono più indietro. Altre nazioni hanno un PNRR più piccolo e meno rate. Noi abbiamo 10 tranche come Cipro, Croazia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Quest’ultima è arrivata a quattro rate. Ogni rata corrisponde a obiettivi quantitativi e qualitativi, la nostra quinta rata ha molti progetti legati alla digitalizzazione di pubblica amministrazione e imprese, borse di studio per dottorati e ricerca universitaria, obiettivi relativi all’alta velocità Salerno-Reggio Calabria per l’aggiudicazione dei lavori.
L’Italia, insomma, è messa bene, meglio degli altri Paesi europei?
Sì, il problema è che ora stanno partendo i cantieri, i prossimi due anni sono molto importanti. Secondo i nostri dati, oltre il 50% dei progetti sono stati aggiudicati, siamo nella fase di contrattualizzazione o avvio del cantiere. Siamo esattamente a metà.
Il tema adesso, quindi, è rispettare il cronoprogramma dei lavori. Ce la facciamo?
Bisogna realizzare le opere, se c’è da costruire una scuola e questa non viene ultimata non ci viene pagata la rata. Funziona a performance. Ora ci pagheranno la realizzazione degli istituti scolastici, delle autostrade, l’erogazione dei dottorati di ricerca, sempre seguendo gli stati di avanzamento dell’opera. E più andiamo avanti più dobbiamo dimostrare che stiamo concludendo.
Ci sono delle scadenze temporali?
C’è un cronoprogramma che stabilisce entro quando devono essere concluse la progettazione del lavoro, l’aggiudicazione, il primo 30% delle opere da realizzare.
E se le date non vengono rispettate?
Se un Comune non realizza il primo 30% di un’opera, non può chiedere i soldi, il ministero non paga ma a sua volta non può neanche esigere il pagamento della rata prevista dalla Commissione europea. Il meccanismo però è congegnato in modo da dare una valutazione complessiva. Se l’Europa ci dice, ad esempio, di costruire 350 scuole o installare un certo numero di colonnine elettriche e l’Italia, pur non riuscendo a ottenere i risultati previsti in una regione, li consegue in un’altra realizzando qualcosa in più di quello che era stato programmato, come Paese può compensare le due situazioni.
Ora dobbiamo dimostrare di saper portare a termine i cantieri?
Esatto. Senza fatture che dimostrino che i lavori procedono non si possono chiedere soldi al ministero, che a sua volta non può incassare i soldi promessi dalla Commissione europea. Funziona tutto a raggiungimento dell’obiettivo. Uno dei problemi, infatti, è quello degli anticipi di cassa, che servono agli enti locali per pagare le ditte: i ministeri sono un po’ in ritardo con i pagamenti. Hanno dato la possibilità di chiedere un anticipo del 30% (prima era il 10), ma questo basta per far partire i lavori. Poi il flusso deve continuare e può succedere solo se le opere vengono realizzate nei tempi previsti.
(Paolo Rossetti)
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