Il populismo di destra è una minaccia globale e lo è in particolare per l’ambiente. Lo dimostra l’ascesa al potere di quella schiatta di leader cinici e tracotanti che non si fermano davanti allo sdegno della comunità internazionale, e neppure davanti agli appelli di scienziati ed ecologisti.

Appena una settimana dopo che l’Agenzia spaziale brasiliana denunciava un record di incendi in Amazzonia (+83% rispetto a prima della presa dell’elezione del presidente Bolsonaro), apprendiamo che il presidente Donald Trump vuole rimuovere le restrizioni sullo sfruttamento economico dell’Alaska, lo Stato più grande ma meno popoloso degli Stati Uniti. Famoso per il suo territorio variegato e selvaggio e la ricca fauna selvatica, era stato acquistato dallo Zar di Russia nel 1867 per diventare, dopo numerosi cambiamenti amministrativi, il 3 gennaio 1959, il 49° Stato degli Stati Uniti.



L’intenzione di Donald Trump è di cancellare il limite di costruzione di nuove strade che, secondo il governatore dell’Alaska, Mike Dunleavy, impedisce l’espansione economica della regione all’estremità nord-occidentale del continente nordamericano. Dello stesso avviso il presidente Trump, il quale a luglio aveva ribadito il suo obiettivo di concentrarsi sull’aumento dei posti di lavoro e sulla crescita industriale come soluzione per finanziare la salute dell’ambiente.
Insomma, il concetto perverso sarebbe: consumo suolo, scavo e trivello, e con i profitti poi ripiano i danni all’ambiente?



Ora, secondo quanto riporta il Washington Post, Trump starebbe facendo pressione sul segretario all’Agricoltura, Sonny Purdue, per esonerare circa la metà della foresta Tongass, quasi 7 milioni di ettari di distese inviolate di cedri, abete rosso e altre conifere, dal vincolo “no-road” e permettere attività di disboscamento e minerarie.

Che la gestione della risorsa boschiva sia il pallino di Trump, diventando quasi una questione personale, non sorprende. E’ stato il presidente democratico Bill Clinton, in uno dei suoi ultimi atti alla Casa Bianca, a mettere nel 2001 la maggior parte dei limiti legislativi alla costruzione di strade su oltre 23 milioni di ettari di superficie boschive d’America. Per quasi vent’anni questo vincolo ha resistito ai tentativi di soppressione, superando indenne persino gli assalti del presidente George W. Bush.



Rimane da capire se sostenere il taglio e il trasporto del legname su oltre la metà della più ampia distesa di foresta temperata al mondo, oggi reso impossibile per la mancanza di vie di comunicazione, sia una leva efficace per favorire il benessere della popolazione dell’Alaska.

La selvicoltura rappresenta una frazione marginale dell’occupazione della regione sud-orientale dello Stato, appena l’1% contro l’8% di attività di pesca e trasformazione e il 17% del turismo. Queste ultime sarebbero invece minacciate dalle intenzioni del presidente bulldozer. Circa il 40% del salmone selvatico che risale lungo la costa occidentale depone le uova nella Tongass, portando sostanze nutritive che sostengono la crescita della foresta; mentre il sottobosco mantiene freschi i corsi d’acqua e intrappola i sedimenti.