Nella notte americana vanno in fumo tutti i “luoghi comuni” e i “sentito dire” che per quattro anni hanno imperversato in tutti i sondaggi e su tutti media del mondo, negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Italia soprattutto. Pensate solamente ai Severgnini e all’imitatore di Stanlio e Olio, l’americano Alan Friedman.
C’è il rischio che Donald Trump, il “trucido” descritto da quasi tutti, e effettivamente anche colui che ha impersonato meglio di tanta classe dirigente attuale in tutto il mondo la cosiddetta “deriva populista”, possa vincere le elezioni per la seconda volta, mandando a carte e quarantotto tutti gli analisti politici del mondo.
Al di là del risultato finale, che può vedere la vittoria di Trump oppure quella del democratico Joe Biden, è incredibile che alle 5 del mattino del 4 novembre ci sia un “testa a testa” furibondo tra i due candidati, con molte indicazioni che lasciano supporre la possibile vittoria di Trump.
In questi quattro anni, guardando lo stile sopra le righe del presidente americano e la scontentezza generalizzata contro l’attuale abitante della Casa Bianca, si poteva immaginare che la “notte americana”, quella che doveva designare il nuovo presidente tra gli applausi, sarebbe stato una facile cavalcata dei democratici di Biden. Come spiegarsi una vicenda di questo tipo, con una partecipazione elettorale che non si vedeva da un secolo e con una competizione, Stato per Stato, che nessuno aveva conosciuto nel recente passato?
Che cosa significa tutto questo? Certo si può pensare alla grande crisi storica del sistema democratico parlamentare e liberale, ma si può anche vedere in controluce l’ottusità, la crisi di analisi, della capacità di comprendere la realtà, di interpretare il mondo che sta per affacciarsi al futuro ed è soggetto a un grande cambiamento, da parte della sinistra, anche quella molto morbida, neppure venata di una tradizione radicale.
Se un personaggio come Donald Trump riuscisse a vincere e a ritornare alla casa Bianca, dove, lo si voglia o no, c’è la più grande democrazia del mondo da quasi trecento anni, pari solo alla Gran Bretagna, da cui gli Stati Uniti si sono staccati, e hanno sviluppato una democrazia che fu per molti anni di grande innovazione pur tra mille contrasti e mille contraddizioni, sarebbe la sconfitta storica più grande per la sinistra di tutto il mondo.
Le avventure populiste, gli atteggiamenti lontani dalle consuetudini democratiche, sono spesse volte, così come è avvenuto in passato, il frutto degli errori della sinistra.
Se esistono tante differenze sociali in questo nuovo sistema sociale ed economico, se i diritti di chi lavora sono stati dimenticati, se le persone vivono sempre di più in questa “folla solitaria”, che cosa ha fatto la sinistra in tutto il mondo per contestare questo sistema basato su una finanza spregiudicata e su una completa mancanza di senso di comunità?
Non è stata la sola sinistra americana a lasciare fare alla finanza tutto quello che vuole, e ha già fatto, e poi a operare una globalizzazione senza alcuna regola. Alcuni giorni fa, un politico italiano che ha fondato il Partito democratico si è detto preoccupato dell’influenza del thatcherismo e del reaganismo che ha preso piede in diverse parti del mondo. Ma dov’era lui quando in Italia si faceva fuori un’intera classe dirigente con il “metodo Palamara”? Dove era quando partecipava con le banche angloamericane all’assemblea particolare sul famoso “Britannia” per la privatizzazione dell’industria italiana?
Quello che purtroppo bisogna constatare con questo incredibile risultato americano, che prima o poi verrà a conoscenza, è che la sinistra in tutte le sue versioni mondiali deve fare un grande atto di autocritica e di umiltà, ritornando a ricostruire le grandi basi di una democrazia.
Certo, per gli americani sarà molto più dura, perché la confusione in cui sono caduti i democratici ha fatto dimenticare completamente le grandi lezioni che hanno lasciato nella storia i Roosevelt e i Kennedy.
Ma la storia, per queste nuove classi dirigenti, sia di destra che di sinistra, è un fastidio da evitare. Significherebbe comprendere anche il futuro, come diceva George Orwell.