New York Times, si riapre il caso Barr

Il New York Times torna a parlare del caso delle due visite fatte a Roma dall’Attorney General americano, William Barr, nel 2019. L’intelligence italiana, come spiega la Repubblica, denunciò agli Usa le prove di potenziali reati commessi da Trump, oggi di nuovo candidato alla Casa Bianca. “In uno dei viaggi in Europa del segretario alla Giustizia William Barr e del procuratore John Durham, secondo fonti a conoscenza della vicenda, funzionari italiani – pur negando qualsiasi ruolo nell’avvio dell’indagine sulla Russia – avevano inaspettatamente offerto una soffiata potenzialmente esplosiva che collegava Trump ad alcuni sospetti crimini finanziari” si legge sul New York Times.



Ma quali sono i fatti contestati? Come sottolinea Repubblica, nel 2019 Trump si era convinto che il “Russiagate” fosse stato confezionato proprio dall’Italia e da Renzi, alleato di Hillary, con la collaborazione degli agenti ospiti dell’Fbi come il capo a Roma Michael Gaeta. Tutto partiva dalle idee dell’ex consigliere George Papadopoulos. Il capo della Casa Bianca aveva chiesto così a Barr di indagare, e lui aveva nominato il procuratore Durham.



Le visite di Barr in Italia

In seguito alla richiesta di Trump di approfondire la questione, Barr non aveva contattato il segretario alla Giustizia italiano, bensì aveva ottenuto direttamente un incontro col capo dell’intelligence Vecchione, autorizzato da Conte. Il 15 agosto 2019 il segretario alla Giustizia era venuto così a Roma per incontrare i nostri servizi di intelligence a Piazza Dante, cenando poi in un ristorante, Casa Coppelle. Il tutto, con qualche “indizio” social: ad esempio su Twitter, il 27 agosto, Trump si augurava che Conte fosse confermato alla presidenza del Consiglio. Il 26 settembre Barr era tornato a Roma, per incontrare nuovamente i servizi segreti e ricevere le informazioni richieste sul “Russiagate.



Il 23 ottobre Conte era stato ascoltato sulla vicenda: l’ex Premier aveva definito le visite di Barr come perfettamente legali. Secondo il New York Times, però, “Barr e Durham non hanno mai rivelato che la loro inchiesta si era ampliata nell’autunno del 2019, sulla base di un suggerimento di funzionari italiani, per includere un’indagine penale su rapporti finanziari sospetti relativi a Trump. I dettagli della soffiata e il modo in cui hanno gestito l’indagine rimangono poco chiari, ma Durham non ha presentato accuse al riguardo”. Secondo il quotidiano statunitense, “Barr e Durham hanno deciso che la soffiata era troppo seria e credibile per essere ignorata. Ma piuttosto che assegnarla a un altro pubblico ministero, Barr ha chiesto a Durham di indagare lui stesso sulla questione, conferendogli poteri di azione penale per la prima volta, anche se il possibile illecito di Trump non rientrava esattamente nell’incarico di Durham di esaminare le origini dell’inchiesta Russia“. Non sono ancora chiari i dettagli dei presunti reati di Trump. Ciò che viene sottolineato è come Barr non avesse alcun interesse a indagare il suo capo, nonostante le rivelazioni dell’intelligence italiana.