Le conseguenze potrebbero esserci eccome in Italia, almeno nel breve periodo se non interviene una politica economica di “schermo” ai pericoli provocati dagli Stati Uniti d’America, dopo lo stop al petrolio Iran: il prezzo della benzina già potrebbe aumentare nei prossimi giorni, con i rincari che potrebbero tornare ai livelli di 6 mesi fa. Ad ottobre si arrivò al costo altissimo di 1,669 euro al litro (momento in cui il barile costava 85,92 dollari): dopo le sanzioni di Trump e l’aumento della produzione in Arabia ed Emirati, il rischio forte è che le conseguenze per le economie occidentali nell’acquisto del greggio siano di forte impatto a grave danno dei diretti consumatori. Come riporta Prezzi Benzina in queste ultime settimane, gli automobilisti italiani già pagano in media 1,659 euro per un litro di benzina, ovvero «l’11,1% in più che a gennaio quasi come a ottobre 2018, anche se il petrolio costa meno di sei mesi fa».



I DEM ATTACCANO TRUMP

Scade il termine per le esenzioni riguardanti l’import del petrolio dall’Iran. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di non posticipare la deadline, e di conseguenza otto paesi, fra cui l’Italia, non potranno più importare da ora in avanti l’oro nero da Teheran. Obiettivo degli Usa, negare al regime la sua principale fonte di entrate: una mossa che ha fatto schizzare alle stelle il prezzo del barile, che ora ha superato quota 66 dollari. Numerose le reazioni negative a tale decisione del tycoon, a cominciare da quella del presidente della Cina, Xi Jinping, che ha condannato fermamente il divieto di import, annunciando di opporsi «alle sanzioni unilaterali e alla giurisdizione ad ampio raggio», e spiegando che gli accordi presi con l’Iran sono «ragionevoli e legittimi. La Cina – ha concluso il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang – proteggerà i suoi legittimi diritti». Trump nel mirino delle critiche anche all’interno degli stessi Stati Uniti, dove starebbe crescendo sempre più all’interno del partito democratico il fronte di chi vuole l’impeachment per il presidente: «Abbiamo ottime ragioni – le parole rilasciate dalla senatrice Dem, Kamala Harris, alla CNN – per credere che ci siano prove che ci dicono che questo presidente e la sua amministrazione sono impegnati ad ostacolare la giustizia e credo che il Congresso debba prendere i provvedimenti per l’impeachment». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



USA, STOP IMPORT PETROLIO DALL’IRAN

Secondo il Sole 24 ore l’Italia potrebbe ritenersi “salva” dalle sanzioni lanciate da Trump contro l’import del petrolio iraniano: come già anticipavamo qui sotto, Italia, Grecia e Taiwan avevano di fatto giù diminuito-ridimensionato-cancellato il loro import dall’Iran secondo le pressioni già mosse da Trump negli scorsi mesi. «Il Dipartimento di Stato nelle scorse settimane avevano citato tre nazioni sulle otto che quest’anno avevano ormai azzerato l’import messo all’indice e gli osservatori le avevano identificate come Italia, Grecia e Taiwan», rilancio il quotidiano economico di Milano. Nel frattempo, resta il problema per l’impatto che in economia globale già sta avendo la mossa di Trump: il prezzo del petrolio vola ai massimi risultati da 6 mesi. Al Nymex il Wti avanza del 2,81% a 65,80 dollari al barile, mentre il Brent guadagna il 3,21% a 74,28 dollari al barile. Pompeo ha intanto affermato quale sia – per la dottrina Trump – l’unica agenda da tenere per Teheran per poter evitare nuove sanzioni: gli Usa sono disposti a trattare con l’Iran solo se vi sarà «la completa rinuncia al diritto di arricchire uranio per qualunque scopo, la cessazione del sostegno a gruppi quali Hamas e la fine delle minacce a Israele».



CAOS SULLO STRETTO DI HORMUZ

Dopo averlo già minacciato in passato davanti alle sanzioni degli Usa contro Teheran, l’Iran torna all’attacco sull’ipotesi di chiudere lo Stretto di Hormuz, che di fatto collega il golfo dell’Oman al golfo Persico e dove transita un terzo di tutto il petrolio trasportato via mare. «Se ci saranno minacce, non avremo altra scelta che difendere le nostre acque», ha fatto sapere il Governo Rohani dopo la minaccia della Casa Bianca di limitare e quasi azzerare le esportazioni di petrolio dell’Iran. Il comandante della Marina del Corpo della Guardia rivoluzionaria, Alireza Tangsiri, ha spiegato poco fa alla tv Al-Alam: «Lo Stretto di Hormuz, in base alla legge, è una rotta di navigazione internazionale e se ci verrà vietato di usarla, la chiuderemo». Intanto va tenuto conto che degli 8 Paesi citati dall’Amministrazione Usa – Italia, Taiwan e Grecia – già avevano cominciato a ridurre la loro importazione di petrolio dall’Iran su “pressione” convinta di Trump e Pompeo, con la promessa di garantire tramite l’Arabia Saudita e gli Emirati il quantitativo per non rimetterci in termini economico-strategici.

TRUMP ATTACCA TEHERAN SUL PETROLIO

Il fronte Iran è sempre in cima alla lista delle priorità per il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump: stavolta, come minacciato già diversi mesi fa, le conseguenze sul tema del petrolio sono ingenti non solo per Teheran ma in qualche modo anche per l’Italia. Il n.1 della Casa Bianca ha infatti deciso di non rinnovare (scadevano ad inizio maggio, ndr) le esenzioni per l’import di petrolio dall’Iran: «la decisione mira ad azzerare l’export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate», annuncia il Segretario di Stato Mike Pompeo. Esenzioni e ancora esenzioni, il “mantra” Usa mette nel mirino le fonti di guadagno iraniane in attesa di sbloccare la partita sul nucleare, tema caldissimo dopo lo stop al negoziato firmato nel 2015 da Obama e l’Unione Europea. La guerra a Teheran e a chiunque faccia accordi commerciali con l’Iran ora però prende una piega più dura perché giunge al “nodo” petrolio, il più importante ancora negli snodi e accordi internazionali: il segretario di Stato ha poi aggiunto che non ci saranno proroghe dopo il primo maggio e che «l’amministrazione Usa sta già discutendo con i paesi coinvolti per aiutarli a rinunciare alle importazioni da Teheran».

LA GUERRA USA ALL’IRAN (E NON SOLO)

Oltre alla Russia, ora anche la Cina si oppone fermamente alla decisione di Trump e parla di sanzioni «unilaterali ad ampio raggio. Gli accordi siglati da Pechino con Teheran sono ragionevoli e legittimi», ha rilanciato il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Geng Shuang. Pechino è infatti ad oggi il maggior importatore di greggio dall’Iran e il nuovo scontro con Trump non farebbe che alimentare la già aspra e violenta guerra commerciale in atto sull’asse Usa-Cina. Nel frattempo il principale alleato in Medio Oriente dell’America, l’Arabia Saudita – riporta Repubblica – fa sapere che si coordinerà con gli altri produttori di petrolio per «assicurare forniture adeguate e per accertarsi che il mercato resti in equilibrio». La Casa Bianca intanto rilancia sempre con Pompeo «Usa, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, tre dei più grandi produttori di energia, insieme ai loro amici ed alleati, sono impegnati ad assicurare che i mercati globali del petrolio restino forniti in modo adeguato. Abbiamo concordato di prendere azioni al momento giusto per garantire che la domanda globale sia soddisfatta, mentre tutto il petrolio iraniano è rimosso dal mercato». Intanto però a rischiare nel medio-breve periodo sono gli 8 Paesi che fino al primo maggio potevano essere esentati nella loro importazione di petrolio dall’Iran: Italia, Grecia e Taiwan, oltre a Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud. In attesa di capire quali saranno le reazioni del Governo Conte, una nuova guerra commerciale-strategica è pronta ad esplodere e dalle premesse nulla di “certo” è ipotizzabile nei prossimi mesi.