Le promesse elettorali fatte ai piccoli imprenditori e commercianti statunitensi annunciano una raffica di dazi sulle importazioni dalla Cina. E, se Trump le manterrà, spiega Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, per Xi Jinping saranno problemi, perché potrebbero ridurre in modo consistente la ricchezza del Paese, facendolo venire meno al patto stretto da Deng Xiaoping, per cui i cinesi accettano di non avere la democrazia in cambio di un tenore di vita di tutto rispetto. Il tycoon ha anche invitato Taiwan a occuparsi autonomamente della sua difesa. Probabile, però, che in questo dossier la posizione americana non cambi molto: a Trump, infatti, interessa molto più il Pacifico che l’Atlantico e Taiwan è troppo importante per la produzione dei semiconduttori per lasciarla alla Cina. Insomma, i motivi di scontro fra i due Paesi non mancano, come quelli relativi ai diritti umani e, in particolare, alla libertà religiosa.
Come cambieranno i rapporti USA-Cina con Trump? Xi Jinping ha steso la mano, auspicando collaborazione, ma la realtà qual è?
La realtà non la sa nessuno. Durante la campagna elettorale ci sono state dichiarazioni contraddittorie, da una parte molto aggressive sulla necessità di contenere la Cina e, dall’altra, simili a quelle relative all’Europa, sostenendo che la spesa degli Stati Uniti per Taiwan è eccessiva e che i taiwanesi dovrebbero pagarsi da soli la difesa militare. L’unica barra che Trump ha tenuto dritta finora è quella dei dazi verso la Cina, che dovrebbero aumentare la protezione dell’industria americana. Dal punto di vista delle relazioni economiche, se Trump rimarrà fedele alle promesse, la Cina verrà colpita dove fa più male, cioè sull’aspetto economico, peggiorando i suoi problemi.
Il presidente americano è un personaggio imprevedibile: cosa potrebbe cambiare l’impostazione dei rapporti con i cinesi manifestata in campagna elettorale?
Sappiamo dall’esperienza del primo mandato presidenziale che il Trump di lotta e quello di governo sono personaggi che non coincidono. Sui rapporti con Pechino intervengono pure i consiglieri, la grande industria americana, lo stesso Elon Musk, che non ha cattivi rapporti con i cinesi. Se il presidente americano rimarrà fedele a quanto annunciato, la Cina verrebbe colpita sul piano delle esportazioni negli USA, quindi su un nervo molto sensibile. Su Taiwan, invece, da una parte ci sono dichiarazioni di disimpegno dall’Europa per occuparsi della Cina, dall’altra si parla di disimpegno da tutto perché i soldi servono per altro: non è chiaro quale sarà la linea.
Trump pensa soprattutto da uomo d’affari e Taiwan è leader mondiale dei semiconduttori, che servono anche alle imprese americane. Questo lo indurrà a opporsi alle mire della Cina popolare su Taipei?
Le dichiarazioni sul fatto che Taiwan si deve difendere da sola sono state episodiche, mentre quelle sull’Ucraina sono quotidiane. Non credo che l’atteggiamento degli USA sarà molto diverso, anche per il disegno geopolitico di Trump, che guarda più al Pacifico che all’Atlantico: in questo senso, la difesa di Taiwan è strategica, mentre quella dell’Europa dell’Est non lo è. Ma anche nella testa di Xi Jinping potrebbe cambiare qualcosa: un abbandono dell’Ucraina potrebbe convincerlo che si può intervenire senza che l’America reagisca, esattamente come l’abbandono dell’Afghanistan convinse Putin ad attaccare l’Ucraina.
Ma quali sono i principali dossier aperti fra Cina e USA?
Quello di cui si è parlato di più è quello commerciale. L’elettore di Trump è disturbato dalla concorrenza e dall’invasione dei prodotti cinesi, anche venduti via internet, che danneggiano non solo il piccolo imprenditore, ma anche il piccolo commerciante americano. In più, qualche volta, pensiamo alle auto elettriche, i cinesi danneggiano il grande capitalista sostenitore di Trump. Il dossier di cui si parla e si parlerà di più è quello del dumping, della sovrapproduzione, della bilancia dei pagamenti con la Cina. La soluzione sventolata finora è quella dei dazi.
Ma i dazi quale reazione potrebbero innescare?
Certamente una manovra dei cinesi contro i prodotti americani. Chi consiglia Trump lo mette in conto, ma siccome la bilancia commerciale pende dalla parte di Pechino, da una guerra dei dazi ci perdono di più i cinesi. Il che potrebbe peggiorare i rapporti politici e, soprattutto, provocare un ulteriore rallentamento dell’economia con conseguenze imprevedibili per la Cina.
Imprevedibili in che senso?
In Cina c’è un patto che la maggioranza dei cinesi accetta, quello che risale a Deng Xiaoping: “Voi accettate di non avere la democrazia e noi garantiamo in cambio la ricchezza”. Se però la ricchezza non è assicurata, o lo è molto meno, il patto non funziona più. La gran parte della gente accetta ancora questo tacito accordo: l’Occidente si focalizza su chi lotta per i diritti umani, ma i dissidenti in Cina sono qualche migliaio, in un Paese che è enorme. Il cinese medio, invece, è uno che asseconda il patto: democrazia vuota e pancia piena. Ma, appunto, se la pancia non è piena le cose cambiano. I cinesi non rischiano la fame, ma si sono abituati bene; se la crescita rallenta molto, qualche problema ci sarà.
Trump e Xi potrebbero arrivare a un accordo? Con Biden, la preoccupazione americana è sembrata principalmente quella di non consentire il pieno sviluppo tecnologico della Cina per evitare che arrivasse al livello degli americani. Un ostacolo che esiste ancora?
L’amministrazione Biden era concentrata su altre priorità, principalmente sugli aiuti dei cinesi alla Russia. Per Trump contano meno; non è lì che batte il suo cuore, per lui la priorità è proteggere il piccolo commerciante che ha un negozietto di tessuti e di abbigliamento e deve far fronte all’invasione di prodotti cinesi che costano meno e lo costringono a chiudere. Poi vuole proteggere anche i produttori di auto elettriche, che hanno problemi con la Cina perché le loro vetture costano meno. Il tema è quello del carovita, che in parte è attribuito ai cinesi. Certo, con Trump non si sa mai cosa succede; potrebbe anche accordarsi, ma qualcosa dovrà fare in questo campo: ha promesso di frenare l’invasione dei prodotti cinesi a basso costo, e non è stato un tema secondario.
In termini di diritti umani, dobbiamo aspettarci qualcosa dal nuovo presidente?
Molti attivisti sono stati favorevolmente colpiti dal fatto che, nel suo primo discorso, Trump abbia annunciato che si occuperà seriamente della libertà di religione. Probabilmente una cambiale elettorale che ha dovuto pagare agli evangelici. Anche nella sua prima amministrazione, la promozione della libertà religiosa sembrava stargli molto a cuore.
L’interesse per questo tema che riflessi potrebbe avere?
Potrebbe portare a uno scontro con il Vaticano. Mike Pompeo, che non sarà segretario di Stato ma avrà un ruolo nella nuova amministrazione, è sempre stato critico sull’accordo tra Santa Sede e Cina. Secondo il Corriere della Sera, il Papa potrebbe addirittura esprimersi contro i dazi: mi sembra inverosimile. Certo è che la prima amministrazione Trump attaccò duramente l’accordo tra il Vaticano e Pechino: una cosa abbastanza inconsueta da parte di un Paese terzo quando si stringe un accordo fra due Stati. Una presa di posizione che probabilmente rifletteva gli umori degli evangelici.
Quello dei diritti umani, insomma, potrebbe diventare un ulteriore motivo di scontro con la Cina?
Trump, soprattutto se avrà anche il controllo della Camera, ha promesso di rafforzare le commissioni di inchiesta sui diritti umani in Cina. Il falco, da questo punto di vista, è Marco Rubio. Trump non gli perdona di essere stato suo concorrente nelle primarie, ma il senatore repubblicano è stato un link importante con la comunità latina in campagna elettorale e ci sono rumors per cui potrebbe avere un ruolo nell’amministrazione. È stato il parlamentare più attivo nella denuncia delle violazioni dei diritti umani in Cina. Bisogna vedere se prevarrà una certa mentalità di Trump, che lo porta a occuparsi di affari, o se per dare noia alla Cina la si attaccherà anche sul piano dei diritti umani.
(Paolo Rossetti)
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