Se c’è qualcosa di cui nessuno, nemmeno i suoi più acerrimi detrattori, può accusare Donald Trump è di perdere tempo. Il suo approccio “aggressive and disruptive”, in linea con il suo programma e il mandato che ha chiesto agli elettori, sta spaziando su quasi tutte le grandi problematiche: dalla guerra russo-ucraina a quella israelo-palestinese, dalla gestione dell’immigrazione alla battaglia dei dazi, dai tagli alla spesa pubblica alle liberalizzazioni in campo economico.
Il Partito democratico non si è ancora ripreso dalla sonora sconfitta elettorale e per ora si sta muovendo in ordine sparso, senza un leader che possa unificare l’opposizione (Kamala Harris sono tre mesi che non si sa dove sia finita, Joe Biden si sta godendo la pensione in qualche buon ritiro, e persino Barack Obama e la onnipresente moglie Michelle stanno tenendo un atteggiamento decisamente sottotono).
In alcuni casi l’opposizione sta persino appoggiando determinate scelte del presidente: il leader democratico senatore Chuck Schumer, assieme ad altri senatori dem, ha votato a favore della legge straordinaria di bilancio presentata dal governo che contiene molti dei tagli proposti da Musk.
Negli ultimi giorni il presidente Trump e la maggioranza repubblicana hanno aperto un nuovo fronte: quello dell’università. In una lettera datata 13 marzo 2025 e diretta alla Columbia University, storico ateneo newyorkese di estrazione decisamente liberal, che è stato fulcro delle proteste anti-Israele durante la scorsa primavera, l’amministrazione governativa ha apertamente accusato l’università di aver fallito nel proteggere gli studenti e il personale dalla violenza e dalle molestie antisemite e di aver con ciò violato il Civil Rights Act del 1964.
A seguito di questa violazione l’amministrazione ha revocato circa 400 milioni di dollari di finanziamenti, e ha posto alcune condizioni per poter riprendere i negoziati in merito ad una possibile riapertura degli stessi.
Tra questi il completamento dei procedimenti disciplinari nei confronti degli studenti e del personale che ha guidato le occupazioni dei campus, l’implementazione di misure tese a garantire la sicurezza degli studenti anche tramite il rafforzamento dei poteri della security che agisce nell’università, l’implementazione di forme di lotta all’antisemitismo e l’adozione di misure tese a impedire blocchi delle lezioni, occupazioni e proteste violente, tra le quali l’obbligo di girare per l’università a volto scoperto o, almeno, con un badge di riconoscimento.
L’Università sta in queste ore procedendo a valutare le posizioni di diversi studenti coinvolti nelle proteste della scorsa primavera e sono in corso le notifiche di diversi provvedimenti di espulsione e di sospensione.
L’amministrazione Trump ha poi avvisato altri 60 college e università Usa che sta attenzionando le loro risposte alle accuse di antisemitismo pervenute alle autorità governative in seguito alle manifestazioni pro-Palestina della scorsa primavera, che spesso sono sfociate in insulti antisemiti quando non in aggressioni a studenti o personale di fede ebraica. L’amministrazione Trump, che vuole rinsaldare il supporto dell’influente comunità ebraica statunitense, ha annunciato che procederà a sospendere o tagliare fondi federali se tali accuse verranno ritenute fondate.
Nel frattempo, l’ICE (l’autorità federale preposta al contrasto dell’immigrazione clandestina) ha arrestato Mahmoud Khalil, un collaboratore della Columbia University, cittadino algerino di origine palestinese e siriana, che si era distinto tra i leader delle proteste studentesche (nonostante i suoi trent’anni) e ha proceduto a revocargli il visto d’ingresso in USA nel momento in cui sono emersi chiari legami con Hamas.
La legge statunitense, infatti, permette al segretario di Stato di espellere qualsiasi non-cittadino nel momento in cui ritiene che “la presenza o le attività del non-cittadino… avrebbero potenzialmente gravi conseguenze negative di politica estera per gli Stati Uniti”. Questo arresto, e probabile espulsione, è vista come la prima di una serie di altri interventi, tesi a colpire i non cittadini americani che hanno partecipato alle proteste violente pro-Palestina che hanno sconvolto i campus universitari americani nella primavera 2024.
Le azioni sopra descritte hanno provocato appelli (sostenuti anche da Amnesty International) e manifestazioni nei pressi delle università, per ora promosse e frequentate solo dalla frangia più estrema di studenti e attivisti, molti dei quali di origine araba. Contestualmente a New York un gruppo di manifestanti ha tentato di prendere d’assalto la Trump Tower, venendo arrestato dalle forze dell’ordine presenti.
Ci sono quindi segnali che portano ad una nuova “primavera calda” nei campus e nelle università americane, che possono fungere da traino ad una nuova opposizione al governo dai toni accesi, violenti, antisistema e spesso antiamericani, che non farà che rafforzare il supporto della maggioranza della popolazione USA al presidente Trump.
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