Da un lato Mark Rutte, segretario generale della NATO, che mette in guardia l’Europa, la invita ad assumere una “mentalità di guerra”, ad aumentare considerevolmente le spese della difesa. Dall’altro il prossimo presidente americano Donald Trump e quello francese Emmanuel Macron che danno la loro versione di come dovrà essere una forza di interposizione per mantenere un eventuale cessate il fuoco in Ucraina, composta da 200mila persone secondo il primo, da 40mila per il secondo. In mezzo, una Unione Europea che non affronta nella sua complessità il tema della guerra e delle conseguenze di un disimpegno americano in Ucraina. I singoli leader europei, osserva Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa (e autore de La guerra russo-ucraina, Il Cerchio 2024), accendono il dibattito con dichiarazioni estemporanee, funzionali alla propaganda, ma non frutto di analisi approfondite della situazione. Insomma, di fronte a una situazione così delicata come quella ucraina si naviga a vista, parlando di soldati europei con funzione di peacekeeping e dimenticando che i russi non vogliono militari NATO sul suolo ucraino.
Il nuovo segretario generale della NATO Mark Rutte sostiene che bisogna aumentare la spesa per la difesa ben oltre il 2% del Pil e che l’Europa deve avere una “mentalità di guerra”. L’Occidente è diventato guerrafondaio?
È una narrativa che non è nuova, all’interno della quale si esprimono i principali protagonisti a livello NATO e UE. È uno dei modi per proporre l’aumento delle spese militari. Rutte lo ha fatto in una maniera poco elegante: dire ai cittadini europei che devono spendere più in armi che in politiche pubbliche mi sembra che vada molto al di là delle prerogative del segretario dell’Alleanza atlantica.
Una prospettiva potenzialmente destabilizzante per l’Europa?
Da mesi si parla di aumentare le spese militari a ogni costo, ma senza una logica. Se gli USA mollano l’Europa lasciando l’Ucraina al proprio destino, la UE si trova da sola a far fronte a una serie di circostanze per cui senza gli Stati Uniti non sa che fare. Il punto di partenza è dotarsi di armi puntando sull’aspetto che l’opinione pubblica capisce maggiormente, quello dell’hardware, dei cannoni, dei carri armati, senza tenere conto che i sistemi di difesa dei nostri Paesi sono complessi. L’acquisto di armi non può bastare da solo a risolvere i problemi di sicurezza europei. E le analisi ci spiegano che la situazione delle nostre forze armate a livello continentale è di sofferenza.
Un aspetto che accomuna un po’ tutti i Paesi europei?
Sì. Si spinge verso una spesa maggiore ma non si analizza il problema nella sua complessità. L’Europa ha un problema di sostenibilità dello sforzo bellico. Non ci sono aziende numericamente sufficienti per far fronte alla produzione di armi e munizionamento. E i costi sono incredibilmente superiori a quelli della Russia. L’Europa ha problemi strutturali e molti dei gap capacitivi vengono sostenuti con dei contratti sottoscritti con l’industria della difesa americana. Per alcuni tipi di armi c’è una lista di attesa lunghissima, come per i lanciarazzi Himars.
Abbiamo anche un problema di uomini. Eppure Trump dice che vuole 200mila soldati europei come ipotetica forza di interposizione in Ucraina. Un’idea balzana?
Lui parla di 200mila uomini e Macron, in una visita in Polonia, dice che ne servono 40mila. I numeri dovrebbero essere il risultato di un ragionamento, invece la politica li butta avanti per mandare dei messaggi. Non so quanta analisi militare ci sia dietro queste cifre. Magari Macron dice 40mila mentre ce ne vorrebbero il doppio e Trump parla di 200mila mentre ne occorrerebbero di meno. Quando si impiegano forze del genere bisogna assicurare la rotazione dei contingenti, individuare quanti Paesi concorreranno a questa forza di interposizione e quanti uomini daranno. Si tratta di numeri consistenti e di situazioni in cui la necessità di uomini è alta: i nostri poveri eserciti quanti ne dovrebbero avere?
Insomma, non ci dobbiamo fidare dei numeri dati in pasto all’opinione pubblica?
Sono propaganda, fughe in avanti che alla fine lasciano il tempo che trovano. Perché 40mila e non 60mila? Macron è abituato a fare dichiarazioni per conto di tutti e ha sparato questa cifra, mentre la Polonia è stata molto più cauta.
L’Italia ha dato la sua disponibilità a partecipare a questa forza di peacekeeping. Il nostro governo ha le idee più chiare?
È possibile che il processo decisionale avvenga sempre in questa maniera poco ortodossa e poco rispettosa delle opinioni pubbliche? Un leader europeo parla con un altro leader, lanciano questa ipotesi di lavoro, senza che gli altri Paesi UE siano coinvolti, e l’Italia dà la sua disponibilità. Sarebbe stato meglio dire: “Facciamo un ragionamento più complessivo, prima di dare dei numeri cerchiamo di analizzare il contesto”.
Una forza di interposizione in Ucraina sarà comunque necessaria?
Ci sarà un congelamento del conflitto e in quella linea bisognerà definire un meccanismo di controllo. L’Italia avrebbe potuto chiedere di definire bene i contorni della missione, chi sono gli attori e le organizzazioni che devono fornire garanzie non di parte. Potrebbe essere una occasione per rivitalizzare l’OSCE e l’ONU: una volta non si poteva pensare al mantenimento della pace se non sotto l’egida delle Nazioni Unite. Adesso sono in crisi, ma stavolta potrebbe essere il caso di fare un riferimento giuridico proprio a questa organizzazione.
Le proposte di Trump e Macron parlano dell’impiego di soldati europei. Ma sarebbe così semplice?
Al contrario. Nessuno parla di cosa pensa la Russia a riguardo e le condizioni russe sono molto chiare: Mosca dice che non ci devono essere militari della NATO in territorio ucraino. Ma allora di cosa stiamo parlando? Questo dimostra che l’Unione europea naviga a vista. Non c’è un’agenda comune. Macron fa questa fuga in avanti e sceglie come occasione la visita all’attore politico più influente in Europa in questo momento, la Polonia. I polacchi però hanno smorzato l’entusiasmo di Macron che è andato lì da solo pensando di parlare a nome di tutti.
Insomma, a che punto siamo?
Non c’è più una narrativa credibile ma solo degli slogan, dei mantra, ripetuti a prescindere dai contenuti e dalle analisi, che spero vengano avviate quanto prima. Altrimenti resteranno decisioni prese sulla pelle dei soldati.
La realtà è che tutti stanno tergiversando aspettando Trump?
Aspettando Trump si cerca di mettere le mani avanti nell’ipotesi peggiore, che è quella per cui gli USA abbandoneranno l’Europa al suo destino: l’interpretazione delle conseguenze di questa decisione è nelle mani di pochissimi attori, come Macron, che immaginano il futuro in questa maniera univoca.
Cosa dovrebbe fare la UE in questo momento?
Sarebbe l’occasione per cercare un tavolo europeo di emergenza, per discutere insieme come gestire le conseguenze di una possibile decisione di Trump. Una conferenza straordinaria, ma non nei formati che siamo abituati a vedere, come il G7, ma un tavolo in cui ci si confronti seriamente su questo tema.
(Paolo Rossetti)
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