E’ allarme tubercolosi, una malattia che è in ripresa, e a sottolinearlo all’Adnkronos è stato Massimo Andreoni, direttore scientifico Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), presente ieri a Roma per l’incontro ‘We stand with public health: a call to action for infectious disease’, organizzato insieme alla Società italiana di medicina generale e cure primarie (Simg): “La tubercolosi ricomincia a fare paura – dice – a causa dei ceppi resistenti ai farmaci. E’ brutto da dire perché di paura ne abbiamo avuta troppa e non ne vorremmo più sentire parlare. Ma i micobatteri resistenti cominciano a preoccuparci davvero”.
Andreoni ha proseguito: “Parliamo di una malattia in ripresa. E questo è un po’ inevitabile perché la globalizzazione ha tanti aspetti positivi ma anche molti negativi. Permette anche ai germi di circolare meglio. Il problema è che anche il bacillo tubercolare, che conosciamo da centinaia di anni, ora sta diventando multiresistente. Esistono dei casi in cui il trattamento diventa molto complicato perché dobbiamo usare 7 o 8 farmaci e a volte non riusciamo a sconfiggere il micobatterio. Se questi casi diventano preponderanti, il problema diventa molto grave”.
TUBERCOLOSI, OGNI ANNO MUOIONO NEL MONDO 1,6 MILIONI DI PERSONE
La tubercolosi uccide ogni anno 1,6 milioni di persone in tutto il mondo, contagiandone un numero ben maggiore, e l’anno scorso, per la prima volta in circa due decenni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato una risalita dei casi di Tbc e Tbc resistente ai farmaci oltre ad un incremento dei decessi.
L’Italia è al lavoro per eliminare la malattia entro il 2030: “L’Italia, con circa 3mila nuovi casi l’anno – dice Daniela Maria Cirillo, presidente della Società europea di micobatteriologia (Esm) e coordinatore per l’Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli) del gruppo di lavoro sui micobatteri – è un Paese definito a bassa endemia di tubercolosi (come la maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale) ed è uno dei Paesi candidati a vincere questa battaglia”. Ma “perché questo avvenga – conclude la dottoressa a capo dell’Unità Patogeni emergenti dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano – è necessario che si prenda coscienza che la malattia esiste ancora, che colpisce i più fragili e che deve essere riconosciuta prontamente e trattata opportunamente per evitare nuovi contagi”.