Forse c’è una via d’uscita per chi contrae il tumore alla prostata. La strada è sempre lunga e tortuosa ma il mondo della scienza sta facendo passi da gigante e sta battendo la via delle alterazioni genetiche, sperimentando dei nuovi farmaci chiamati “inibitori di PARP”, che è la proteina vitale per permette alle cellule tumorali di vivere e replicarsi. Una notizia non da poco tenendo conto che il tumore alla prostata, come si legge su Il Messaggero, è la forma oncologica più comune fra gli over 65, causando circa 80mila morti all’anno in Europa. In Italia, invece, ogni anno si registrano 44mila casi, e un uomo su 15 viene colpito dopo i 40 anni da questa patologia.



Il primo farmaco “inibitore” (precisamente l’Olaparib), è stato recentemente approvato dalla FDA, Food and Drug Administration, e dello stesso se ne è parlato in occasione del 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia (SIU), in corso a Riccione fino al 19 ottobre. “Quello del test genetico nei pazienti con tumori, avanzati o localizzati – ha commentato Francesco Porpiglia, Ordinario di Urologia dell’Università degli Studi di Torino e responsabile dell’ufficio scientifico SIU – è un tema dibattuto nella comunità scientifica oncologica che sta aprendo nuove frontiere nella strategia terapeutica dei pazienti”.



TUMORE ALLA PROSTATA, I NUOVO FARMACI CHE AGISCONO SULLE MUTAZIONI DEI GENI: “FONDAMENTALE…”

Nei pazienti con tumore alla prostata viene di solito identificata una mutazione del gene BRCA 2: “Identificare le mutazioni di questo gene – commenta Giuseppe Carrieri, direttore del dipartimento di urologia, Università di Foggia – è fondamentale nelle forme avanzate della malattia, poiché in questa fase il tumore diventa un bersaglio sensibile a nuovi farmaci chiamati inibitori di PARP. PARP è una proteina che, insieme con il gene BRCA2, ha il compito di riparare i danni del DNA, permettendo pertanto il corretto funzionamento della cellula. Quei tumori in cui questo gene non funziona a dovere accumulano più alterazioni, diventando più aggressivi e in grado di sopravvivere più a lungo”, ma ciò non accade se si interviene tempestivamente con il super farmaco.



Numerosi gli studi in corso su questi nuovi farmaci, e a riguardo Luca Carmignani, direttore del dipartimento di urologia all’IRCCS San Donato, Università di Milano ha sottolineato che “Tutti gli studi di fase II che li hanno testati hanno riscontrato che un paziente su due con alterazioni di BRCA1/2 risponde al trattamento. Si può pertanto ipotizzare che questi nuovi farmaci possano rappresentare nell’immediato futuro un indubbio potenziale clinico nel trattamento del tumore della prostata”.