Come funziona il farmaco Fruquintinib per il tumore al colon retto?
I pazienti affetti da tumore al colon retto avranno maggiori possibilità di successo delle terapie grazie alla ricerca e all’immissione sul mercato di un nuovo farmaco innovativo, da somministrare in forma orale, che è stato approvato dalla Commissione Europea in seguito ai risultati dei test clinici di fase 3 che ne hanno dimostrato gli effetti. Il medicinale si chiama Fruquintinib ed è prodotto dall’azienda biofarmaceutica Takeda. Potrà essere utilizzato su tutti i pazienti con tumore metastatico, che hanno ricevuto i trattamenti con le cure standard già disponibili.
Il prodotto è stato formulato per aumentare l’efficacia della chemioterapia limitandone gli effetti collaterali e soprattutto riducendo il rischio di sviluppare resistenza. Uno dei problemi principali, sui pazienti trattati con i chemioterapici infatti, è quello di dover sospendere la terapia per reazioni avverse o a causa di sviluppi di tossicità fuori bersaglio. Questo farmaco mirato, non chemioterapico, agisce inibendo le proteine recettori responsabili della crescita di nuovi vasi sanguigni, che sono i principali fornitori di ossigeno del tumore.
Tumore al colon, nuovi trattamenti per combattere la resistenza alla chemioterapia
Per la cura del tumore al colon retto, oltre alla ricerca farmaceutica sono stati fatti notevoli progressi anche in campo scientifico. Un progetto italiano, guidato dal professore Cristiano Simone, durato cinque anni, portato avanti dall‘Irccs “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte ha scoperto il meccanismo di formazione della resistenza ai chemioterapici. Problema che purtroppo avviene frequentemente nei pazienti trattati. I risultati sono stati pubblicati sula rivista “Journal of Experimental & Clinical Cancer Research” e mostrano che: bloccare farmacologicamente la proteina “SMYD3”, può aumentare l’efficacia delle cure nei pazienti affetti da neoplasie gastrointestinali.
Questo perché la proteina in questione contribuisce alla riparazione del Dna delle cellule sane, ma agisce anche in quelle tumorali, che si rinnovano continuamente provocando così la diminuzione dell’azione dei trattamenti. Un medicinale con azione inibitoria quindi, contribuirebbe al funzionamento della chemio, specialmente nei pazienti che hanno la proteina fortemente espressa nei tessuti.