Gli organoidi, copie identiche coltivate in laboratorio degli organi colpiti dal cancro, sono grumi di cellule tumorali non più grandi di mezzo centimetro. L’aspetto più importante è che vengono fatti crescere partendo dalle cellule del tumore di un paziente e riproducono fedelmente la malattia. “Li usiamo per provare tutte le terapie alternative che abbiamo a disposizione” spiega Luca Tiberi, professore di terapia del cancro all’università di Trento. “Prendiamo tutti gli organoici di un paziente ottenuti in laboratorio. Ogni tre aggiungiamo un farmaco. Poi osserviamo la reazione, scegliamo la terapia più efficace e la somministriamo al paziente” spiega ancora.



Il medico si occupa di tumori al cervello, ma sono stati creati organoidi anche per colon, retto, pancreas, fegato, vescica, prostata, ovaio, seno, stomaco, esofago e polmoni. Gli organoidi non sono ancora disponibili per tutti: “Abbiamo fatto test su una cinquantina di pazienti” spiega Giovanni Tonon, professore all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “Abbiamo brevettato una piattaforma per rendere più veloce la comparazione delle varie terapie. Credo che l’uso degli organoidi potrebbe diffondersi presto” sottolinea il docente.



Tumore, i limiti della tecnica degli organoidi

La tecnica degli organoidi ha molti limiti, ma dà comunque risposte importanti che secondo gli scienziati sono promettenti. Permettono infatti di capire quale sia la terapia migliore per ogni paziente affetto da tumore. “Le cellule tumorali che coltiviamo in laboratorio provengono dalla biopsia del chirurgo” spiega Tiberi. “Non sappiamo perché, ma in alcuni casi con quel materiale si riescono a creare 50 o 60 organoidi e in altri nessuno”. La percentuale di successo è al momento del 70%.

Secondo Tonon, però, “ci sono anche altri limiti. Gli organoidi non riproducono il microambiente del tumore: cellule immunitarie e vasi sanguigni. Nonostante questo, rispondono a un’esigenza che l’oncologia sente da decenni: capite in anticipo quale terapia somministrare a ogni paziente”. Lo studio sugli organoidi comprende anche i tumori del sangue. Anna Kabanova, ricercatrice di Toscana Life Sciences, spiega a Repubblica: “I nostri organoidi sono aggregati di linfociti B, le cellule colpite da questo tumore. Li usiamo per studiare il metabolismo della malattia”.