Cresce la speranza per coloro che sono affetti da un tumore al polmone. Tutto merito di un nuovo farmaco che sta dando risultati molto promettenti, così come sottolineato stamane dal tabloid inglese Daily Mail. Negli ultimi anni i passi avanti nella lotta al tumore al polmone sono stati evidenti, e oggi l’88 per cento di coloro che hanno un carcinoma polmonare ai primi stadi sono vivi a cinque anni dalla diagnosi. E in futuro tali numeri potrebbero migliorare ulteriormente, così come evidenziato dai dati dello studio ADAURA presentato al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso a Chicago.



«Tre anni fa i primi risultati erano stati illustrati come particolarmente promettenti nella sessione plenaria, quella più importante — le parole di Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e principal investigator dello studio per l’Italia, intervistato oggi dal Corriere della Sera —. Avevamo detto che si ponevano le basi per un cambiamento della terapia che fino a quel momento era considerata standard nelle fasi iniziali di malattia. Con gli aggiornamenti presentati oggi a Chicago, sempre in plenaria, possiamo affermare senza più dubbi che il cambio epocale c’è stato ed è davvero importante: l’88% dei pazienti curati con osimertinib è vivo a cinque anni dalla diagnosi e il traguardo della guarigione non è lontano».



TUMORE POLMONE: FARMACO OSIMERTINIB PRESENTE ANCHE IN ITALIA

Allo studio ADAURA hanno partecipato 682 pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule ai primi stadi (IB-IIIA) con mutazioni del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). In Italia sono circa 6mila le persone che ogni anno ricevono questa diagnosi: «Parliamo più o meno di 6mila persone che ogni anno nel nostro Paese ricevono questa diagnosi — continua de Marinis — e i risultati mostrati ad Asco indicano un risultato senza precedenti come terapia adiuvante, cioè post-operazione: il medicinale osimertinib somministrato per tre anni dopo l’intervento chirurgico radicale ha ridotto il rischio di recidiva a 5 anni del 77% e quello di morte del 51% (rispetto a chi fa chemio o placebo). A cinque anni dalla diagnosi, è vivo e libero da malattia l’88% dei pazienti, contro il 78% di quelli che hanno ricevuto placebo. Per la prima volta siamo riusciti a ottenere, in pazienti radicalmente operati, sia un vantaggio della sopravvivenza libera da malattia sia un allungamento della sopravvivenza generale».



Il farmaco osimertinib riduce inoltre il rischio di una recidiva a livello del sistema nervoso centrale. Ma si può parlare di guarigione? «Con tutte le cautele con cui si è soliti parlare di guarigione dal cancro, specie polmonare, è evidente che se a 5 anni sopravvive l’85% dei pazienti operati allo stadio II e IIIA, siamo molto vicini a potere utilizzare questo termine per i pazienti con mutazione comune del gene EGFR (per lo più non fumatori) radicalmente operati» risponde l’esperto. Il farmaco contro il tumore al polmone è disponibile anche in Italia, approvato dall’Aifa a fine 2022: «Una cura comoda da assumere (in compresse) e con un’ottima tollerabilità: gli effetti collaterali più frequenti sono, nei primi mesi di trattamento, acne, diarrea e stanchezza cronica, ma nel complesso la qualità di vita è ottimale».

TUMORE POLMONE, ROBERTA VILLA: “I MEDIA ITALIANI CI SONO CASCATI…”

Dati molto interessati ma per la giornalista scientifica Roberta Villa in realtà la situazione sarebbe ben diversa. Attraverso Instagram ha infatti spiegato nel dettaglio: “Stavolta non ci cascano solo i media italiani, ma perfino il Guardian, con un titolo e un attacco sensazionalisti (e scorretti). Capiamo di che cosa si parla: non dei tumori al polmone in generale, ma di quelli “non a piccole cellule”, circa l’80% del totale. Tra questi, la cura riguarda solo quelli con una specifica mutazione (EGFR), presente nel 15-20% degli adenocarcinomi, tumori tipici dei non fumatori. Da questi, poi, occorre scendere ancora ai casi operabili, dal momento che il trattamento si applica a casi in cui il tumore è stato totalmente asportato. Lo studio quindi mette insieme molti pazienti con malattia in fase precoce con altri più avanzati. E questo è già un problema”.

Quindi Roberta Villa aggiunge: “L’altro grave errore, in cui cade perfino il grande Eric Topol, è che la pillola non dimezza il numero dei decessi, ma il rischio, che è cosa molto diversa. Si passa dal 78% di pazienti vivi dopo 7 anni e mezzo col placebo e agli 88% col farmaco. Che è un ulteriore passo avanti, sicuramente una bella notizia, ma non il miracolo descritto. Ci sarebbero molte altre obiezioni (di cui se volete parliamo nelle storie), ma certo le conclusioni dell’ultima slide sono un po’ affrettate. E il peso di Astrazeneca nel comunicarle conta più di quanto dovrebbe in un consesso scientifico così importante”.