A gennaio abbiamo salutato con soddisfazione l’approvazione del Piano oncologico nazionale, ma pur essendo stati stanziati per le annualità 2023/2027 10 milioni all’anno, l’esperienza insegna che i provvedimenti si annunciano, ma poi l’iter normativo e amministrativo ne rallenta l’esecuzione.



È il caso  del nuovo Fondo per il 2023 e il 2024, infatti istituito nello stato di previsione del ministero della Salute denominato “Fondo per l’implementazione” che ha una dotazione sul quinquennio   (risorse destinate al potenziamento delle strategie e delle azioni per la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza ai malati oncologici) e necessitava di un decreto del ministero della Salute, da adottare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, per individuare i criteri e modalità di riparto del fondo alle Regioni.



Le risorse del Fondo sanitario nazionale, il fondo ad hoc e gli investimenti del Pnrr devono essere complementari, coerenti e sistemiche muovendosi, insieme, identificando le attività e l’appropriatezza dei setting assistenziali sulla base dei percorsi di cura dei pazienti. In questo contesto l’organizzazione delle attività di promozione della salute e prevenzione è estremamente rilevante: per gli screening oncologici, la tipizzazione e il sequenziamento, a sostegno di un approccio one health in oncologia. Ma per ora tutto è fermo. È prioritario investire  per riqualificare le cure intermedie e l’ADI e aumentare l’accesso all’innovazione scientifica di molteplici opportunità in termini di risorse quali i fondi per il Piano europeo di lotta contro il cancro (4 miliardi di euro), il Piano operativo nazionale per la sanità del Mezzogiorno (625 milioni di euro), i finanziamenti previsti dalla Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (15,63 miliardi di euro) e gli stanziamenti destinati al recupero delle liste di attesa (circa 1 miliardo). A fronte delle molteplici risorse disponibili, è però necessaria una  regia per mettere in campo un sistema di governance efficace per il monitoraggio degli obiettivi specifici e il controllo dell’avanzamento delle attività rispetto alle tempistiche.



A Montecitorio  è passata una mozione in questi giorni che impegna il Governo sulle Malattie rare  che spesso hanno uno sviluppo oncologico, per nuove “disponibilità di farmaci, implementazione di piano diagnostico-terapeutico assistenziali personalizzati garantiti su tutto il territorio nazionale, fondi dedicati al Piano nazionale malattie rare, favorire la formazione e la stabilizzazione dei professionisti, favorire l’assistenza a domicilio per queste persone”.

Anche sul versante lavoristico ci sono novità importanti per le  lavoratrici e lavoratori affetti da tumore e grave patologia che rende disabili. La Corte d’Appello di Napoli (sentenza 168/2023) ha recentemente rimarcato che la norma collettiva sul periodo di comporto, cioè mantenimento del posto di lavoro che nella maggior parte dei contratti collettivi è di 180 giorni nell’anno solare, è solo apparentemente neutra, dal momento che, quando le condizioni della persona affetta da tumore sono tali da comportare una disabilità, i giorni di malattia dovuti alla disabilità stessa non sarebbero da considerare ai fini del periodo di comporto. Infatti, in tali casi, sarebbero da adottare degli accorgimenti ragionevoli che tengano in considerazione la natura della malattia, senza applicare in modo pedissequo la regola collettiva che, appunto, non disciplina in modo differenziato il superamento del periodo massimo di malattia, dando luogo a una discriminazione indiretta e alla quale in troppi casi l’impresa ricorre al licenziamento giustificando tale atto con la regola del comporto.

Terminato il periodo di trattamento con terapia che implica una presenza regolare, se non costante, in ospedale  e riapertasi la possibilità di rientro al lavoro, la lavoratrice o il lavoratore verranno sottoposti a una visita medica da parte del medico competente d’azienda, il quale valuterà l’idoneità – o meno – a svolgere l’attività lavorativa. E dunque  la possibilità ragionevolmente  di modificare la mansione poiché è diritto del dipendente essere adibito a un reparto nuovo o un ruolo per motivi di salute. È fondamentale ritrovare un  benessere lavorativo e una vita per quanto possibile serena.

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