Mondo con il fiato sospeso per le sorti del conflitto israelo-palestinese. Oggi il ministro degli Esteri Tajani sarà in Tunisia. Un Paese a suo modo importante anche in questa crisi, non solo perché resta aperto il problema dei migranti, reso ancor più delicato per ragioni di sicurezza, dopo che si è saputo che l’attentatore di Bruxelles Abdesalem Lassoued era arrivato in Italia via mare, o perché non è ancora stato sciolto il nodo del memorandum firmato dal Paese nordafricano con la Ue. Ma soprattutto, perché Tunisi non si è schierata contro Hamas e le sue piazze sono piene di gente che inneggia alla causa palestinese. La Tunisia è la nazione da cui sono partiti più foreign fighters per combattere in Siria e Iraq e anche quella di maggiore provenienza degli attentatori solitari in azione in Europa.
Controllare i migranti, ma soprattutto sostenere la crescita della Tunisia, può essere importante anche da questo punto di vista, per togliere quel contesto di degrado che costituisce la coltura nella quale prolifera il terrorismo. Eppure, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova, in Europa c’è ancora chi blocca l’applicazione del Memorandum con la Tunisia, fermando i soldi promessi a Saied. Un ostruzionismo motivato dalla richiesta di rispetto dei diritti umani dei subsahariani cacciati dal Paese, ma che in realtà non è altro che un dispetto per mettere in difficoltà l’Italia.
Tajani oggi sarà in Tunisia: quali temi può riguardare la visita?
I motivi sono tantissimi, c’è l’assoluta necessita di continuare il dialogo con Saied, che si era bruscamente interrotto dopo che il presidente tunisino aveva detto: “Non accettiamo dall’Europa né l’elemosina né la carità, ma vogliamo una cooperazione”. Una dichiarazione che significa di fatto stracciare alcuni principi del Memorandum Ue-Tunisia siglato lo scorso 16 luglio. Il Governo ha bisogno di mantenere aperto il canale con la Tunisia, non soltanto per la questione migranti, le cui partenze dalle coste tunisine continuano a crescere esponenzialmente (più della metà di quelli che arrivano in Italia provengono da lì, in particolare da Sfax) ma anche per quanto riguarda la guerra in Medio Oriente, perché le piazze tunisine sono “prese d’assalto” da migliaia di persone che inneggiano alla causa palestinese. L’Italia intende riallacciare il dialogo con la Tunisia ed è molto opportuno, per non perdere il filo con un Paese le cui piazze, in questo momento, sembrano allontanarsi dalla fiducia verso l’Occidente.
In un momento di ripresa del terrorismo la Tunisia deve essere attenzionata anche per questo?
Al di là delle piazze che inneggiano alla causa palestinese, il terrorismo latente sia nei Paesi del Nordafrica che in Europa, come abbiamo visto con l’attentato di Bruxelles, sembra essersi risvegliato. La Tunisia fra i tanti Paesi è quello che ha esportato il maggior numero di foreign fighters nei teatri levantini. È una nazione povera, instabile, il pericolo che anche qui si possano risvegliare movimenti terroristici dormienti è consistente. Soprattutto dopo l’attacco di Hamas, che sta cercando di portare dalla sua parte molte organizzazioni di questo tipo in tutto il Nordafrica e il Medio Oriente. La Tunisia ha collegamenti con la Libia e anche con il Sahel, dove gruppi come Al Qaeda o la Jihad islamica stanno crescendo.
Qual è la posizione ufficiale della Tunisia sull’attacco di Hamas a Israele?
Va detto che la Tunisia, insieme all’Algeria, quindi paradossalmente il nostro principale fornitore di gas e il principale “fornitore” di migranti, non hanno condannato l’attacco di Hamas, ma non hanno neppure firmato la risoluzione della Lega araba che critica le uccisioni di civili da ambo le parti. Questo ci dà l’idea della posizione molto ambigua dei due Paesi, a differenza del Marocco, che ha aderito agli accordi di Abramo. Questo è molto preoccupante, come il risveglio delle piazze arabe, non tanto in favore dei palestinesi, ma in alcuni casi proprio dei movimenti più radicali come Hamas. Per questo l’Occidente deve continuare a tenere d’occhio questi Paesi, non solo per le questioni del gas e dei migranti, ma anche per continuare le partnership con loro, preludio per l’Italia di un piano Mattei molto ambizioso per l’Africa e che partiva proprio dalla Tunisia.
Il Memorandum con la Tunisia che fine ha fatto? A che punto è l’intesa con la Ue e l’applicazione dell’accordo? I primi soldi sono arrivati a Tunisi?
La cosa può sembrare quasi comica, ma la Ue, che avrebbe dovuto versare inizialmente 300 milioni in attesa di alcune riforme che avrebbero aperto al versamento di 900 milioni e a uno sforzo nei confronti del FMI per ottenere 1,9 miliardi, in realtà dal 16 luglio non ha versato ancora niente. Saied ha rifiutato 60 milioni rispondendo che la Tunisia non accetta la carità. E questa è carità. Saied ha fatto quattro conti: “Ma come, la Ue e la Germania hanno dato miliardi a Erdogan per tenersi i migranti della rotta balcanica e a me danno qualche briciola sì e no?”. Sarebbero arrivati, invece, 100 milioni promessi dall’Italia e addirittura 76 dal Giappone.
Ma da dove nascono tutte queste difficoltà nel dare attuazione all’intesa?
L’Unione Europea non sta facendo nulla per la Tunisia, c’è un ostracismo interno da parte di alcuni partiti e leader europei che vogliono probabilmente mettere in difficoltà l’Italia. Non credo che il vero motivo sia il mancato rispetto dei diritti umani da parte di Saied. E comunque su questo voglio porre una domanda: se non collaboriamo con la Tunisia, Saied rispetterà di più i diritti umani? No. L’unico modo per farglieli rispettare è quello di creare un canale con Tunisi e poter far entrare l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), l’UNHCR (Alto commissariato Onu per le migrazioni) e le organizzazioni internazionali che possono monitorare la questione dei migranti subsahariani che Saied sta marginalizzando e cacciando dal Paese.
Intanto la situazione nel Paese com’è? E’ ancora peggiorata?
Andando a esaminare i dati relativi alla disoccupazione giovanile, all’inflazione e al debito pubblico sulla percentuale del Pil, quelli che riguardano, quindi, il rischio di default tunisino, possiamo dire che sono leggermente peggiorati. Le condizioni del Paese dal punto di vista dei diritti umani, invece, sono sempre le stesse: c’è una stretta riguardo ai subsahariani. Per questo occorre un dialogo con la Tunisia per stabilire una partnership concreta, seria, duratura, con finanziamenti che non siano ridicoli, anche per salvaguardare i migranti subsahariani. Perché una volta entrati in Tunisia le organizzazioni internazionali potrebbero anche occuparsi della questione dei diritti.
(Paolo Rossetti)
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