Un nuovo naufragio di migranti è avvenuto nelle scorse ore provocando morti e dispersi. Come riferito dai colleghi di TgCom24.it, l’episodio si è verificato di preciso al largo delle coste della Tunisia e ha riguardato una carretta carica di poveretti provenienti dall’Africa sub-sahariana. Nelle scorse ore la nave si sarebbe rovesciata e a seguito del naufragio almeno 5 persone sarebbero morte. Il bilancio è però solamente parziale visto che all’appello mancano 28 persone, tutte risultanti disperse. A rendere nota la vicenda sono stati gli attivisti del Forum tunisino per i diritti sociali ed economici, il Ftdes, che ha spiegato di come il barcone sia affondato “perché era sovraccarico”.



A bordo vi erano infatti 38 persone, quasi tutte provenienti dalla Costa d’Avorio e che erano salpate dalla regione costiera di Sfax dirette verso l’Italia, precisamente verso il porto di Lampedusa. Si tratta purtroppo di un’ultima di un lungo elenco di tragedie che si sono verificate nel Mediterraneo centrale nelle ultime settimane, rotta che viene storicamente considerata la più pericolosa al mondo tenendo conto delle acque agitate, soprattutto durante questo periodo dell’anno.



TUNISIA, NAUFRAGIO MIGRANTI: L’APPELLO DEL PRESIDENTE SAIED E LE VIOLENZE

Circa un mese fa, come sottolineato ancora da TgCom24.it, il presidente della Tunisia Kais Saied, aveva tenuto un discorso nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana che arrivavano in Tunisia prima di salpare per l’Europa, accusando gli stessi di provocare un’ondata di criminalità.

Un discorso, quello del presidente tunisino, che aveva scatenato una reazione di violenza contro i migranti stessi, e i proprietari terreni hanno sfrattato centinaia di persone temendo delle multe, costringendo i poveretti ad accamparsi in strada. Secondo i dati emersi sembra che siano almeno 21mila i migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana che si trovano al momento in Tunisia in attesa di una barca che li faccia sbarcare nel Vecchio Continente, rischiando la vita: una pratica che purtroppo non troverà mai la parola fine.