Un progetto di formazione per carpentieri, saldatori, manutentori, che offre opportunità di lavoro a 150 tunisini, anticipando l’azione del Piano Mattei. Sì, perché, se l’attuale governo Meloni ha sviluppato un progetto per favorire la crescita dell’Africa, puntando anche sulla formazione professionale, AVSI ha precorso i tempi per formare in Tunisia profili professionali che le aziende italiane non trovano sul mercato del lavoro. “Per i giovani nordafricani – spiega Emanuele Gobbi Frattini, rappresentante Paese per la Tunisia di AVSI – si tratta di un’occasione per trovare un’occupazione all’estero senza dover rischiare il naufragio nel Mediterraneo”.
In cosa consiste il vostro progetto in Tunisia, c’è un legame anche con il Piano Mattei?
Questo progetto si inserisce all’interno delle stesse strategie del Piano Mattei, prevedendo di focalizzarsi sulla formazione professionale in loco. Parte dalla constatazione che in Italia manca la manodopera specializzata, anche perché la curva demografica tende verso l’invecchiamento. Nei Paesi del Nordafrica o della regione MENA (Nord Africa e Medio Oriente, nda) la curva delle nascite, invece, è di segno contrario a quello italiano e per quanto riguarda i mestieri classici (saldatori, carpentieri, manutentori industriali, autisti) la formazione professionale in alcuni campi è avanzata. Parlo di mestieri non collegati all’innovazione e alle nuove tecnologie.
Quindi la vostra è un’iniziativa autonoma. Ma come si sviluppa?
AVSI ha molte collaborazioni con imprese private con le quali da anni in Italia si sono stabiliti partenariati. Visto che queste ultime non riescono a reperire personale sul mercato del lavoro italiano e che, contemporaneamente, la Tunisia ha in atto accordi bilaterali con Francia e Canada per fornire personale, abbiamo iniziato timidamente anche noi a intraprendere questa strada. Abbiamo capito che ci sono quattro o cinque mestieri per i quali, una volta opportunamente preparati, i lavoratori potrebbero venire in Italia. Parliamo di un Paese, la Tunisia, in cui la disoccupazione giovanile è al 40% e quella dei diplomati di istruzione secondaria è del 25%. Numeri altissimi, che rischiano di forzare tantissime persone a intraprendere tratte migratorie illegali e pericolose.
Quella che prospettate è una strada sicura per lasciare il Paese senza dover rischiare la vita sui barconi?
Da un lato vogliamo contrastare l’immigrazione clandestina e dall’altro migliorare la formazione professionale tunisina: lavorando con le imprese italiane si valuterà il gap tra la formazione in Tunisia e le competenze richieste in Italia. Le scuole aggiorneranno l’offerta di formazione professionale sul posto, adeguandola a quella italiana e alle nuove tendenze del mercato.
C’è un accordo specifico che prevede per questi ragazzi di venire in Italia?
AVSI ha firmato convenzioni con due agenzie sotto l’egida del ministero del Lavoro, presente il ministro dell’Impiego e della Formazione Professionale tunisina, coinvolgendo l’agenzia di collocamento tunisina e l’agenzia tunisina di formazione professionale. Una è responsabile di 130 centri di formazione, l’altra si occupa di far incontrare i disoccupati iscritti alle loro liste con le richieste delle imprese.
La strada per arrivare in Italia, insomma, è tracciata sulla base di questa intesa?
Tracciata e favorita. Questa convenzione può riguardare 150 persone in un anno: saldatori, carpentieri, logistici, manutentori industriali. Le persone per accedere al corso devono avere competenze di base, mentre le imprese italiane ci dicono di quanti saldatori hanno bisogno e quali abilità sono necessarie. Viene poi lanciato un bando e chi possiede i requisiti presenta la candidatura. Selezionate le persone, si analizza il gap di esperienze, tenendo conto delle esigenze delle imprese italiane. Se ce n’è bisogno teniamo un corso di formazione tecnica aggiuntiva per colmare le carenze. A volte, infatti, le competenze ci sono già. Se il sistema tunisino non offre la formazione richiesta, l’impresa italiana manderà qualcuno per formare.
Il progetto è già iniziato?
Deve avere l’avallo del ministero del Lavoro italiano, ma ha il sì delle autorità tunisine; è coinvolta anche la CGIL, che ha una sede qui in Tunisia. Un ruolo lo ha anche l’Istituto di Cultura Italiana: nei mesi che dividono la selezione dalla partenza ci saranno dei corsi di 110 ore di lingua e cultura italiana, una sorta di educazione civica per aiutare i lavoratori tunisini a comprendere il contesto in cui andranno. AVSI, comunque, seguirà questi ragazzi anche nei primi mesi di permanenza in Italia.
In che contesto sociale ed economico state sviluppando la vostra attività?
La rivoluzione dei gelsomini ha dato alla Tunisia la speranza di un regime democratico, poi la storia ha portato i partiti legati ai Fratelli Musulmani a riprendere il controllo. In questi anni è aumentato il debito pubblico ed è stato danneggiato il sistema economico. A questo si sono aggiunte la crisi internazionale, il Covid e la guerra in Ucraina: la Tunisia importa il 60% dei cereali di cui il Paese ha bisogno da Russia e Ucraina. Tutto questo ha danneggiato la situazione economica e sociale del Paese. E con l’aumento della disoccupazione è salito il numero di giovani che sono disposti a tutto, anche a rischiare la propria vita migrando illegalmente, pur di avere una possibilità di realizzarsi professionalmente in Europa.
La Tunisia può sperare di uscire dalla crisi?
Il sistema educativo qui resta molto competitivo, soprattutto a livello tecnico. La Tunisia ha tutto, non sono pessimista sul suo futuro: ha una struttura economica importante, un livello formativo alto, turismo, agricoltura. Questo è un periodo di crisi che mi auguro sia passeggero.
(Paolo Rossetti)
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