Il colpo di coda del sultano. Lo davano ampiamente sotto nei sondaggi e invece Recep Tayyip Erdogan, pur non riuscendo ad affermarsi al primo turno, è rimasto il candidato più votato alle presidenziali. Ha ottenuto il 49,4% dei voti rispetto al 44,9% di Kemal Kilicdaroglu e ora si giocherà l’elezione, partendo da una posizione di vantaggio, il prossimo 28 maggio. Ago della bilancia il 5% dei voti ottenuti da Sinan Ogan.
Erdogan comunque controlla già l’Assemblea nazionale. Un dato che, spiega Valeria Talbot, Head of Middle East and North Africa Centre dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, dimostra che lo zoccolo duro del suo tradizionale elettorato ha tenuto. Anche se bisognerà attendere un nuovo responso delle urne.
Erdogan stavolta non è riuscito a vincere al primo turno. Questo risultato per lui rappresenta comunque un successo?
È la prima volta che Erdogan deve ricorrere a un ballottaggio: aveva superato il 50% nelle presidenziali del 2018, era riuscito a ottenere una maggioranza, anche se controversa, nel referendum per le riforme costituzionali nel 2017. Quindi per lui è una battuta d’arresto. Però i dati ci dicono che è in vantaggio rispetto a Kilicdaroglu, rovesciando quello che erano i sondaggi della vigilia del voto. Erdogan mantiene la sua presa sul Paese, su quello che è lo zoccolo duro del suo elettorato, l’Anatolia profonda, le classi più tradizionali e religiose. Questo responso, tuttavia, ci fa vedere una spaccatura. Una metà della popolazione sostiene Erdogan, l’altra metà non lo sostiene: è lo specchio delle due anime del Paese.
Due anime contrapposte, che guardano l’una al mondo occidentale e all’Unione Europea e l’altra, appunto, a un modo di vivere più tradizionale. Sono inconciliabili?
Sono contrapposte anche se in politica estera bisogna tener conto di diverse sfumature: è vero che Kilicdaroglu e i partiti che lo sostengono hanno mostrato l’intenzione di migliorare i rapporti con l’Ue, ma è anche vero che ci sono linee di politica estera che non cambieranno anche se Kilicdaroglu dovesse ottenere la maggioranza.
La relazione con la Russia, ad esempio, cambierebbe?
La relazione con la Russia è importante dal punto di vista economico ed energetico, non è una partnership da cui si può prescindere. Ci sono rapporti consolidati negli anni cui la Turchia non può rinunciare, chiunque la governerà.
La Turchia in questi anni è stata protagonista in diverse aree: il Nord Africa, la Siria e il Medio Oriente. La politica estera sarà comunque in continuità anche in queste zone?
Quello che potrebbe venir meno sarebbe il carattere personalistico della politica di Erdogan: lo abbiamo visto, ad esempio, dai rapporti personal con Vladimir Putin. Di fatto, però, le direttrici della politica estera della Turchia non cambieranno anche se guardiamo alla Siria: ci sono dei canali di dialogo aperti per avviare un processo di distensione e verrebbe portato avanti anche se dovesse prevalere l’opposizione, perché è nell’interesse della Turchia ristabilire delle relazioni con Damasco per tutta una serie di questioni tra cui il rimpatrio dei profughi. Ce ne sono 3 milioni e 700mila, il contingente più numeroso all’estero, e alla loro presenza è legato un malcontento socioeconomico. Sia Erdogan che il suo oppositore vorrebbero risolvere la questione rimpatriando queste persone.
Cosa possiamo prevedere in vista del ballottaggio? Il 5% ottenuto dal terzo candidato, Sinan Ogan, potrà influire sul voto del 28 maggio? Questi voti andranno a Erdogan o a Kilicdaroglu?
Per il momento Ogan non ha detto chi sosterrà tra i due contendenti al ballottaggio. Proviene dal Partito nazionalista, il principale alleato di Erdogan, si potrebbe pensare che quei voti confluirebbero più facilmente verso Erdogan che non verso il suo avversario. Ma è meglio aspettare dichiarazioni ufficiali.
Le elezioni di domenica però hanno già dato un responso.
Certo, la differenza tra i due candidati è del 4-5% ma Erdogan ha già dalla sua l’Assemblea nazionale.Quindi se guardiamo anche a questi numeri le chance di Erdogan sono superiori a quelle di Kilicdaroglu.
Al risultato favorevole a Erdogan, anche se non ancora definitivo, ha fatto seguito una reazione negativa da parte dei mercati che non lo reputano affidabile per la sua politica economica. Se continuerà sulla strada già indicata il Paese ne risentirà?
La politiche di Erdogan hanno messo in difficoltà il Paese: facendo pressioni sulla Banca centrale ha fatto abbassare i tassi di interesse con l’idea che solo così si potesse abbattere l’inflazione, di fatto è stato responsabile dell’aumento dell’inflazione, che a ottobre dello scorso anno ha superato l’85%. La situazione economica attuale è dovuta anche a una politica monetaria non ortodossa voluta dal presidente. Ha voluto favorire la crescita, ma in un contesto economico che è in deterioramento.
Non sembra pentito, però. Continuerà ancora su questa strada?
È quello che ci si potrebbe aspettare, ma visto che Erdogan, negli anni, ci ha abituato a diverse sorprese, potrebbe cambiare anche da questo punto di vista, sebbene non ci siano segnali in questa direzione.
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