È arrivato il momento della verità: i turchi domenica 14 maggio sono chiamati alle urne per eleggere il loro nuovo presidente. Che potrebbe non essere più Recep Tayyip Erdogan, leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, alfiere di un Paese più tradizionale, ora sfavorito dai sondaggi.
A contendergli l’elezione c’è soprattutto Kemal Kilicdaroglu, del Partito popolare repubblicano, che alla guida di un’alleanza abbastanza eterogenea punta a una Turchia laica che guarda all’Unione Europea. Con loro due candidati minori: Sinan Ogan e Muharrem Ince, anche se quest’ultimo si è ritirato a pochi giorni dal voto.
I mercati finanziari, spiega Rony Hamaui, docente di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative all’Università Cattolica ed esperto di economia e finanza islamica, non vogliono Erdogan, reo di aver applicato una politica economica non più in grado di garantire la stabilità e la crescita di un Paese in cui l’autonomia della Banca centrale non viene rispettata e l’inflazione è a livelli altissimi.
Professore, quali sono le previsioni sul voto di domenica?
I sondaggi danno Erdogan perdente. I mercati, nella speranza di vederlo sconfitto, hanno reagito positivamente, perché non lo vedono di buon occhio. La lira turca si è rivalutata, i tassi di interesse sono un po’ diminuiti. Sembrerebbe che le probabilità di un insuccesso di Erdogan siano cresciute.
Cos’è che ha cambiato la situazione in queste ultime settimane?
L’unico dato oggettivo è il ritiro di uno dei candidati, Muharrem Ince. Era dato al 3-4%, percentuale che in larga parte potrebbe riversarsi sull’opposizione al presidente uscente. Gli ultimi sondaggi davano Kilicdaroglu avanti del 5-6%. Alla fine ci potrebbe essere anche un ballottaggio: chi vince al primo turno deve avere il 50%.
Uno dei punti cruciali della campagna elettorale è l’economia. Quali sono le posizioni in campo su questo tema?
Kilicdaroglu spinge molto sull’economia, mentre Erdogan sta dando maggiore enfasi al ruolo della Turchia nel panorama internazionale: recentemente, ad esempio, ha inaugurato una portaerei. In campo economico Erdogan ha fatto tutto quello che poteva fare: ha abbassato l’età pensionabile, ha alzato gli stipendi ai dipendenti pubblici, così come i salari minimi. Tutto quello che di populista si poteva fare in economia è stato fatto. Poi spinge molto sul prestigio acquisito dal Paese a livello mondiale. Ma anche sulla religione.
Una cosa che gli veniva imputata era una politica dei sussidi che a lungo andare diventerebbe difficilmente sostenibile. Non ha cambiato idea da questo punto di vista?
Punta ancora su quello, nell’ultimo mese però ha puntato molto sui pensionati e sui lavoratori pubblici.
Perché i mercati internazionali non lo vogliono? Pensano alla possibilità di fare più affari senza di lui?
Non solo questo. Pensano che lui metta in gioco la stabilità del Paese e la sua crescita: lo ritengono inaffidabile perché, ad esempio, non ha rispettato l’autonomia della Banca centrale. Non banalmente per fare più affari.
Tra l’altro per combattere l’inflazione, arrivata oltre il 70% di media nel 2022, ha adottato una singolare politica di diminuzione dei tassi di interesse. Conta anche questo?
Sì, lui è uno dei fautori di questa teoria un po’ fantasiosa. Ma soprattutto ha messo in ginocchio la Banca centrale turca non rispettando la sua indipendenza.
È per questo che il sistema non è più considerato affidabile dagli investitori?
Non lo è neanche per la crescita del Paese, per la popolazione stessa. I mercati non ritengono più Erdogan affidabile dopo che lo è stato per anni in quanto fautore di una liberalizzazione: ha fatto arrivare molti capitali stranieri e ha fatto crescere l’economia del Paese. Ma dittatori si diventa, non si nasce: quando mantieni a lungo il potere poi lo usi in maniera impropria.
Quanto influisce in termini elettorali il voto curdo?
In qualche modo influisce. È difficile dire quanti possono votare: tantissimi sono rifugiati. Certamente non sono pro-Erdogan, come tutte le minoranze. La sconfitta di Erdogan potrebbe contare anche su di loro. Molti sono immigrati, non hanno diritto di voto o hanno difficoltà a iscriversi.
C’è poi il voto dei turchi all’estero. Quanto pesa?
In Europa ci sono moltissimi turchi, specialmente in Germania, che hanno diritto di voto. Generalmente i turchi europei sono molto pro-Erdogan: la percentuale di consensi che raccoglieva in Europa era ben superiore a quella che raccoglieva in Patria. Per questo ha cercato di mandare molta gente al voto e ha aumentato il numero dei seggi. In Germania c’è stata una polemica su questo argomento. Tuttavia questa volta non si sa se continueranno a sostenerlo come hanno sempre fatto. Tradizionalmente hanno votato Erdogan, una circostanza che è stata causa di qualche sarcasmo. Questi turchi sono stati accusati di godere delle libertà civili e politiche in Europa mentre poi nel loro Paese votavano per un dittatore.
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