Dopo alcuni giorni di incertezze e voci di corridoio – ve ne avevamo parlato in quest’altro articolo – alla fine è arrivata dalla Turchia la conferma della domanda di adesione presentata dal presidente Recap Tayyip Erdogan per accedere all’alleanza dei Brics: si tratta di un segnale importante perché – nel caso arrivasse una qualche conferma ufficiale anche dal gruppo di paesi capitanati da Russia, Cina, India, Brasile e Sudafrica – così facendo Ankara sarebbe il primissimo paese al mondo (e forse l’unico) a giocare al contempo sia nella Nato che nella sua controparte orientale; escludendo ovviamente il Cremlino che sembra giocare una posizione sempre più contraria all’Alleanze Atlantica.



“La Turchia può diventare un paese forte, prospero, prestigioso ed efficace – ha spiegato lo stesso Erdogan nel corso di un comizio pubblico ad Istanbul nel fine settimana – se migliora allo stesso tempo le sue relazioni con l’Oriente e l’Occidente“, sottolineando che “non dobbiamo scegliere tra l’Unione Europa e la Shanghai Cooperation Organization come alcuni sostengono” ma piuttosto “sviluppare le nostre relazioni con entrambe”: il riferimento è alla cosiddetta Sco che – mentre i Brics possono essere considerati l’UE orientale su basi economiche – rappresenta un po’ una sorta di Nato asiatica.



La strategia della Turchia nei Brics vista dall’analista: “Erdogan vuole sbloccare le trattative per accedere all’UE”

A fronte della conferma della Turchia il Fatto Quotidiano ha interpellato l’analista geopolitico e di intelligence Nima Baheli per avere una lettura privilegiata di quanto sta accadendo tra Ankara e i Brics, soprattutto alla luce degli attuali rapporti occidentali che parte da un vecchio discorso del presidente in cui disse chiaramente che “Ankara porrà la sua bussola sugli interessi turchi e nel mondo si muoverà in ogni altra direzione nella quale avrà interessi” per sottolineare che quello a cui ambisce è (forse ovviamente) “ottenere un vantaggio“.



Per esempio la Turchia potrebbe voler espandere le sue vendite di armi al di fuori della Nato cercando “nuovi mercati per i suoi droni, i suoi carri armati e i suoi nuovi prodotti militari”, tentando di percorrere anche la strada di “trovare nuovi investimenti [da] Pechino”; ma non si può escludere neppure che voglia “fare pressioni su Bruxelles [per] sbloccare” alcuni fronti importanti come “l’accordo doganale del ’96 (..), il dialogo sulla liberalizzazione dei visti avviato nel 2013” ed anche – ovviamente “del cammino di adesione all’Unione Europea“.