FOLLA ASSALTA LA BASE NATO A KURECIK. ALLARME PER I CITTADINI ISREALIANI IN TURCHIA

Il conflitto tra Israele e Hamas, come su queste pagine andiamo spiegando ormai da giorni, rischia seriamente di coinvolgere l’intera regione del Golfo se non di più: è in particolare sulla Turchia che puntiamo il “focus” questa volta, visti i recenti fatti che vedono sia impegnato il Presidente Erdogan in una difficile “tela” diplomatica, sia lo scoppio di larghi focolai di protesta della popolazione più estremista contro Israele e l’Occidente.



In particolare ci riferiamo all’assalto che migliaia di cittadini turchi hanno lanciato contro la stazione radar di Kürecik, una base militare utilizzata dalla NATO come radar di allarme preventivo contro gli attacchi di missili balistici. La base di Kurecik si trova nella provincia di Malatya, nel sud-est della Turchia ed è stata teatro di scontri così come diverse manifestazioni i questi giorni da Ankara a Istanbul hanno lanciato il guanto di sfida contro lo Stato ebraico. La “miccia” che ha fatto scattare il tentativo di assalto contro la base con anche militari americani su suolo turco è stato il bombardamento dell’ospedale Al Ahli a Gaza City: Israele e Hamas si rimpallano la responsabilità ma è l’intero mondo arabo a non avere dubbi scagliandosi con forza contro le azioni militari di Netanyahu. Non è esente la Turchia di Erdogan che non da oggi esercita un ruolo “ambiguo” nella diplomazia geopolitica: Paese Nato ma vicino a Putin e Iran, storicamente non molto “amichevole” con Israele ma senza opporsi agli accordi di Abramo nel riavvicinamento tra Tel Aviv e l’Arabia Saudita. Davanti però all’esplosione di rabbia della popolazione musulmana che sposa la causa palestinese – con Erdogan in prima fila – la rabbia ha portato migliaia di persone a riversarsi contro la base Nato di Malatya.



ALLARME PER ISREALIANI E AMERICANI IN TURCHIA: COSA STA SUCCEDENDO

«Americani dovete andarvene», si sentono nelle urla dei cittadini locali giunti davanti alla base Usa di Kurecik, come riportano le agenzie internazionali. I manifestanti contro la presenza militare americana sono usciti con bandiere turche e palestinesi, sostenendo con alcuni “portavoce” della folla «Il radar americano fornisce il controllo dell’intero Medio Oriente. Perché non ha trasmesso i dati all’aeronautica israeliana che stavano colpendo un normale ospedale a Gaza? Questo è un crimine di guerra». La colpa dunque viene data alla Nato che sosterrebbe solo Israele durante azioni considerate crimini di guerra (al momento Israele smentisce tale tesi, mostrando le prove dell’errore nel lancio di Hamas di un razzo fuori da Gaza).



«L’esercito americano dovrebbe semplicemente andarsene. Scopriremo la nostra sicurezza. E che tipo di “sicurezza” in Palestina il mondo intero vede dalle riprese di Gaza», sostengono ancora i manifestanti turchi (fonte it.Topwar.ru) che hanno poi cercato anche a Istanbul di entrare nell’edificio del consolato americano, dispersi poi dalla polizia solo con gli idranti. Il clima non solo in Turchia è di profonda tensione, con azioni anti-occidentali e anti-isralieane che sono sfociate purtroppo già in due attentati in pochi giorni, ad Arras in Francia e a Bruxelles in Belgio.  Il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano ha chiesto nelle scorse ore ai suoi cittadini di lasciare immediatamente la Turchia: si temono nuove rappresaglie come quelle viste a Istanbul e alla base Nato di Kurecik dopo l’esplosione in un ospedale nella Striscia di Gaza che ha fatto centinaia di vittime civili. «Posso confermare che l’avviso di viaggio del Consiglio di sicurezza nazionale in Turchia è stato portato a 4, il livello più alto», ha detto il portavoce del Consiglio all’AFP.

GUERRA ISRAELE-GAZA: LA DIPLOMAZIA DELLA TURCHIA E IL “DOPPIO GIOCO” DI ERDOGAN

Tutta questa tensione avviene in Turchia anche perché il presidente Recep Tayyip Erdogan, da sempre sostenitore della causa palestinese, ha accusato Israele di «aver colpito un ospedale che ospitava donne, bambini e civili innocenti a Gaza. Invito ora tutta l’umanità ad intraprendere azioni per fermare queste atrocità a Gaza». Dopo la condanna assieme a Iran, Giordania e Libano dell’attacco sull’ospedale, il Governo di Ankara prosegue nelle difficile diplomazia tra Occidente e Paesi del Golfo per evitare un’escalation su scala mondiale. Fin da subito – come del resto già avvenuto tra Ucraina e Russia – Erdogan ha puntato tutto sul ruolo di “buon mediatore” per evitare conflitti ulteriori e, ovviamente, per guadagnare tutto il credito possibile negli affari geopolitici che vedono la Turchia sempre al centro di molti snodi cruciali, dai Balcani al Medio Oriente fino al Nord Africa.

«In questo momento abbiamo due priorità: la protezione dei civili, il loro diritto ad accedere ad aiuti umanitari e la ricerca di una soluzione duratura al problema tra Israele e Palestina. Una soluzione che non può prescindere da un cessate il fuoco», ha spiegato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan dopo aver incontrato nelle scorse ore il leader politico di Hamas, Ismail Haniye; il tutto mentre Erdogan era a colloquio con l’omologo iraniano, Ibrahim Raisi, principale alleato di Hamas contro Israele. La proposta della Turchia, ancora Paese Nato, tende a coinvolgere anche l’Occidente nello schema di pace: «Quello che proponiamo è un modello basato sul ruolo dei garanti. è chiaro a tutti che questo conflitto non può essere lasciato nelle mani di israeliani e palestinesi. La comunità internazionale deve essere messa nella posizione di spingere affinchè Israele garantisca la formazione di uno Stato palestinese. Un progetto cui devono lavorare tutti: Lega Araba, Organizzazione per la cooperazione islamica e occidente», conclude Fidan. Pro soluzione pacifica con l’Occidente e idem con Medio Oriente e Russia: la Turchia di Erdogan continua l’intricato “doppio gioco” che al momento lascia diversi snodi aperti e ben poco intelligibili nel già complicato scacchiere internazionale. Ankara spinge per la soluzione dei “due Stati” ma al contempo, pur dialogando con i partner Nato, garantisce protezione ad Hamas non considerandola come una sigla del terrorismo: non solo, pur distante da leader sunnita qual è ai Paesi sciiti (Iran, Siria, Hezbollah in Libano), prova a dialogare anche con quella parte del Golfo. Il tutto per riproporre se stesso e la Turchia al centro della geopolitica mondiale: fronte Nato, quanto potrà durare una posizione “ambigua” del genere? È tutta strategia condivisa dagli Usa? Se il conflitto esploderà in Medio Oriente quale posizione assumerà Ankara? Gli interrogativi restano, le risposte certe ancora latitano.