Erdogan sconfitto. E un possibile successore che potrebbe segnare un cambiamento nella politica turca. Il verdetto delle elezioni amministrative sancisce la vittoria dell’opposizione al “sultano” nelle grandi città, con particolare riguardo al risultato di Istanbul, dove il sindaco Ekrem Imamoglu, stavolta sostenuto esclusivamente dal CHP, non solo ha sbaragliato la concorrenza, ma si annuncia come eventuale nuovo protagonista anche della scena politica nazionale, soprattutto adesso che l’attuale presidente non potrà più ripresentarsi per un altro mandato.
Il motivo della sconfitta, riconosciuto dallo stesso Erdogan, sta nell’andamento dell’economia interna, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, segnata in questo momento da una pesantissima inflazione. Il Paese, al di là del responso delle urne, manterrà le sue posizioni a livello internazionale, anche se sarà costretto a una politica più occidentale dal punto di vista economico, per cercare di limitare le ripercussioni di crisi che incide sulla vita delle gente.
Qual è il vero significato di queste elezioni amministrative? Erdogan credeva veramente di riconquistare le grandi città? Che Paese ci riconsegna il voto?
Il primo messaggio è che la Turchia è un Paese democratico: le elezioni si sono svolte senza intoppi e la gente si è espressa liberamente. Tutta la parte della costa egea e la maggior parte di quella mediterranea è appannaggio del CHP, Erdogan ha mantenuto gran parte dell’Anatolia centrale, il Sud-Est e l’Est anatolico sono guidati dai partiti pro-curdi. E c’è una new entry: due città sono gestite da un nuovo partito conservatore, islamista, Yeniden Refah Partisi, che fino alle elezioni del maggio scorso ha gravitato nell’orbita di Erdogan. Per rimanerci ha chiesto di rompere i rapporti economici con Tel Aviv e di intervenire per sostenere i pensionati, che stanno avendo molte difficoltà. L’accordo però non è stato raggiunto.
Il vincitore delle elezioni è il CHP: come va letta la sua affermazione?
Ha conquistato Istanbul, Ankara e altre città. È la prima volta che vince (ha la maggior parte delle province) candidandosi senza altri partiti. L’alleanza delle elezioni del maggio 2023 si è disintegrata e il CHP, che ha passato un momento di difficoltà con le dimissioni del suo presidente, stavolta si è presentato da solo. Salta all’occhio Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul: ha vinto con oltre il 50% dei voti conquistando circoscrizioni tradizionalmente sotto l’influenza di Erdogan. Imamoglu così si candida alla presidenza del partito ed eventualmente potrebbe diventare un competitor per le presidenziali 2028.
Perché Erdogan si dimostra così debole a otto mesi dalla sua rielezione come presidente?
Il dato economico ha acquisito un’importanza cruciale. L’inflazione è ancora molto alta, al 60%, un dollaro vale 35 lire turche, mentre nel 2009 ne valeva 1,9. Una situazione che ha ricadute molto forti sulle tasche dei cittadini, soprattutto su quelle dei pensionati, che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Un segnale di scontento che si vuole mandare al governo. Su questo Erdogan ha riconosciuto la vittoria dell’opposizione, dichiarando che il voto ha dato segnali che vanno colti. Ha perso anche perché ha candidato persone forti dal punto di vista istituzionale, ma calate dall’alto, slegate dalla comunità. Un errore che aveva fatto anche nelle elezioni precedenti.
È sbagliato leggere il risultato contrapponendo una Turchia moderna a una più tradizionale?
Questa volta le istanze ideologiche non le ho avvertite. Il CHP è estremamente laico ed è stato fondato da Mustafa Kemal Atatürk. Il voto è la cartina tornasole di una Turchia spaccata a metà, come dimostrano anche i risultati di ogni elezione, una contrapposizione che esiste ed è strutturale alla fondazione del Paese, e dopo la vittoria di Erdogan alle presidenziali c’era un po’ il timore che l’AKP, il suo partito, assumesse posizioni sempre più predominanti. Quindi si è votato per le opposizioni. Ma stavolta il voto dipende da motivi contingenti: il messaggio è che bisogna gestire i problemi economici.
Dal punto di vista della politica estera non cambierà niente? O per risollevare le sorti dell’economia Erdogan dovrà avvicinarsi di più all’Occidente?
Dal punto di vista economico Erdogan certe scelte le ha già fatte: ha lasciato da parte ogni interferenza nelle questioni economiche, ha richiamato Mehmet Şimşek come ministro, già accreditato nelle cancellerie occidentali. Ovviamente ci si metterà un po’ per sistemare le disfunzionalità che oggi segnano l’economia, conseguenza di politiche populiste in cui Erdogan si era detto contrario all’innalzamento dei tassi di interesse portando avanti quasi per consuetudine la rimozione dei vertici della Banca centrale. La politica economica ortodossa sviluppata negli ultimi mesi continuerà: una strategia più razionale è l’unica risposta.
L’atteggiamento del presidente potrà cambiare sotto qualche altro aspetto?
Nel 2018 Erdogan aveva vinto le presidenziali acquisendo la maggioranza parlamentare, nel 2019 aveva perso le grandi città. Una tendenza che si è ripetuta. Vivendo in un sistema altamente centralizzato, in un presidenzialismo alla maniera turca, il business andrà avanti as usual. Le municipalità hanno scarso margine di manovra. Le grandi questioni del posizionamento internazionale della Turchia, dell’energia, della difesa, vengono gestite da Erdogan. Anche in politica estera non dobbiamo aspettarci grandi cambiamenti, anche perché su questo punto c’è sostanziale unanimità. Il CHP guarderebbe meno al mondo musulmano, che però diventa indispensabile vista l’allocazione geografica del Paese. Mi aspetto solo qualche “taglio” di teste nell’AKP e poi si andrà avanti.
Dunque queste elezioni scalfiscono Erdogan solo fino a un certo punto.
Sì. Forse la grande questione è un’altra. Erdogan aveva ventilato una modifica della Costituzione, per cui i mandati del presidente della Repubblica sono limitati a tre. Per l’attuale presidente, se non intervenissero modifiche, questo sarebbe l’ultimo. A un certo punto era stata prospettata l’ipotesi, in caso di vittoria delle elezioni di questi giorni, di un referendum per far diventare quattro i mandati. Il voto è stato un test pure per valutare quale legittimità possa avere una manovra del genere.
Il sindaco di Istanbul può diventare l’avversario di Erdogan?
È ancora troppo presto, anche perché ad oggi il presidente non è più candidabile. La linea di Imamoglu non è quella di Erdogan: a maggio 2023 il CHP voleva il ritorno al sistema precedente, quindi a quello parlamentare.
(Paolo Rossetti)
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