Scegliendo luoghi che simboleggiano l’islam sunnita europeo, la Turchia intende affermarsi come una potenza culturale di primo piano nei Balcani. L’Agenzia per la cooperazione e lo sviluppo (Tika), con i suoi sei uffici, è il più grande donatore di aiuti nella regione. Finanzia la costruzione di scuole e università ed è anche interessata al patrimonio (come la ricostruzione del ponte di Mostar). Su 23 centri culturali turchi nel mondo, non meno di 12 sono presenti nei Balcani, diffondendo la lingua e la cultura turca.
A livello educativo, scuole finanziate dal movimento güllenista e che sviluppano un islam sunnita sono state costruite non solo in Albania e Bosnia-Erzegovina, ma anche in Kosovo, Macedonia del Nord e Romania. Infine, più di dieci università sono finanziate e controllate dal governo turco.
La Turchia di Erdogan è sul punto di sostituire i suoi concorrenti nei Balcani. Per raggiungere questo obiettivo ambizioso Ankara ha sfruttato il fallimento del progetto del gasdotto South Stream per investire, insieme al suo partner strategico Putin, nel progetto Turkish Stream. Tuttavia, l’Ue esercita una pressione costante sui paesi dell’Europa sud-orientale per impedire il completamento del Turkish Stream. I Balcani sono così diventati il centro europeo del grande gioco energetico globale. Alla fine del 2019, il partenariato turco-russo, nonostante le resistenze dell’Ue, sembra occupare definitivamente il territorio dell’Europa sud-orientale. Il 18 settembre 2019, gli operatori energetici bulgari Bulgartranz e la saudita Arkad hanno firmato un accordo di investimento che estenderà Turkish Stream in Europa.
Sulla base di questo dispiegamento strategico, lo Stato e le società turchi hanno pesantemente investito nel territorio balcanico negli ultimi dieci anni. Anche se la Bulgaria rischia di essere un freno al progetto Turkish Stream, è chiaro che si colloca al primo posto nel sistema turco nei Balcani: 14 miliardi di investimenti in dieci anni, 5 miliardi di scambi bilaterali nel 2018, con un’azione nei settori dell’energia, della salute e dell’industria elettrica.
Ovviamente anche la presa sui paesi musulmani è altrettanto importante. Sebbene il commercio con la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo rimanga limitato, i piani economici in questi due paesi a maggioranza musulmana hanno acquisito slancio negli ultimi anni. In Bosnia-Erzegovina i tratti di autostrada dalla capitale Sarajevo a Belgrado e Budapest sono stati affidati a compagnie turche ed è in corso con Ankara un progetto di ammodernamento del suo aeroporto. In Kosovo, la Turchia è tra i primi investitori (38 milioni di euro all’anno), che ha permesso a banche, come Teb e Ziraat, ma anche alle industrie eoliche ed elettriche, di stabilirsi in questo piccolo Stato.
La presenza turca è cresciuta in modo impressionante: il loro numero è passato da 29 a 1.545 in Montenegro e gli investimenti infrastrutturali, come gli aeroporti, sono già in fase progettuale (Valona in Albania e Skopje e Ohrid nella Macedonia del Nord). Nel mirino anche l’industria siderurgica, con l’acquisizione da parte di Tosyali delle acciaierie Nikšić in Montenegro.
Ma è in Serbia che l’operazione di conquista economica si è rivelata più incisiva. Grazie a un’intesa molto cordiale tra Erdogan e Vučić, sono stati firmati molti accordi economici tra Turchia e Serbia. Oggi quasi 800 aziende turche sono installate in Serbia e il commercio è quintuplicato dal 2010. Più in generale, dopo l’ultima visita ufficiale di Erdogan nell’ottobre 2019, si sta concretizzando un asse Ankara-Belgrado-Sarajevo. Riunendo questi tre paesi, nel 2013 è stato costituito un “comitato commerciale” e poi un’area di libero scambio nell’agosto 2015. L’accordo dell’ottobre 2019 prevede relazioni commerciali tra la Serbia e le due nazioni musulmane. Erdoğan, insomma, sta utilizzando la leva dell’economia per porre in essere una zona di libero scambio.