Le accuse contro Ekrem Imamoglu non sono così chiare, anche perché è il sistema turco, caratterizzato da un presidenzialismo accentratore, a non fornire troppe garanzie di trasparenza. Ma anche il sindaco di Istanbul non è esente da critiche.
Certo è, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, che l’operazione giudiziaria che ha portato all’arresto di Imamoglu e di altre cento persone a lui legate è un colpo pesante all’opposizione, che mette in difficoltà il principale avversario di Erdogan.
Un’iniziativa dalle conseguenze inimmaginabili in una società come quella turca, ora agitata dalle proteste, che mostra di essere molto più consapevole di certe dinamiche politiche rispetto al passato.
La Turchia è in subbuglio per l’arresto di Imamoglu, ma le accuse contro di lui sono credibili?
C’è un problema di credibilità del sistema. Siamo di fronte a un presidenzialismo in cui i poteri sostanzialmente sono tutti accentrati, per cui non c’è un’indipendenza tra di loro. Si fa fatica a credere alla genuinità di certi provvedimenti. Il sistema giudiziario in Turchia non è veramente indipendente.
L’offensiva contro il sindaco di Istanbul era iniziata prima dell’arresto. Perché, per esempio, viene contestata anche la validità della sua laurea?
La sera prima dell’arresto, a Imamoglu era arrivata dall’Università di Istanbul la notifica della cancellazione della laurea, necessaria per candidarsi alla presidenza del Paese. In Turchia il sistema universitario è centralizzato: bisogna passare un esame di Stato e, in base al punteggio, si entra in determinate università. Imamoglu pare non avesse ottenuto un punteggio alto e per questo, come fanno in molti, ha studiato a Cipro Nord per poi cercare di trasferirsi comunque in un’università turca. In questo passaggio ci sarebbe stato qualcosa di non legittimo.
Tutto vero?
Non lo sappiamo. Torna il problema della credibilità di cui abbiamo parlato prima. E della tempistica: Imamoglu era già stato individuato come prossimo candidato presidenziale del partito di opposizione e la nomina ufficiale sarebbe dovuta arrivare da qui a pochi giorni.
I crimini che vengono contestati, invece, quali sono?
Il primo è la corruzione, legata anche all’attività della sua azienda di costruzione, per appalti a Istanbul. Si parla di oltre 500 miliardi. In carcere sono finite anche 100 persone a lui affiliate, compresi alcuni giornalisti. Poi c’è un’ulteriore accusa, quella di sostenere personaggi chiave del PKK. Quando si è presentato alle elezioni municipali diventando sindaco di Istanbul, il suo partito, il CHP, si è alleato con le formazioni curde.
Come mai un’operazione del genere è stata messa in atto proprio adesso?
È successo adesso perché UE e Occidente stanno flirtando con la Turchia, coinvolta per esempio nei meeting voluti da Francia e Regno Unito sulla difesa comune europea: lo stesso Erdogan ha rimesso sul tavolo il tema dell’adesione all’Unione. Il presidente turco capitalizza questa atmosfera, nella quale, tra l’altro, l’amministrazione Trump, rispetto a Biden, non è interessata affatto al tema della democrazia interna degli altri Paesi.
L’arresto di Imamoglu che reazioni ha avuto a livello internazionale?
Da parte americana non ci sono stati commenti. Ma sostanzialmente neanche da parte europea, segno che siamo in una congiuntura internazionale favorevole a una manovra di questo genere. Un contesto che, come al solito, rivela la grande ambiguità dell’Europa, che si è espressa talvolta a livello nazionale.
Questo intervento a piedi uniti della magistratura cosa può cambiare in Turchia?
Siamo a un nuovo punto di svolta. Già Erdogan, quando era diventato sindaco di Istanbul, era stato arrestato. All’epoca, alla fine degli anni 90, l’opinione pubblica si era sollevata dicendo che era stato vittima di pratiche illiberali del regime dell’epoca. Oggi la vicenda si sta riproponendo, ma in termini diversi: sono state arrestate anche cento persone e le ripercussioni sull’economia sono state immediate. La Borsa di Istanbul ha aperto in negativo, la lira turca si è deprezzata, alcune agenzie di rating hanno lasciato il mercato turco. C’è un problema di credibilità internazionale, anche se nessuno al momento osa mettersi contro Ankara.
Ma l’opinione pubblica interna come ha reagito?
L’opinione pubblica in Turchia e la società civile sono cambiate: i giovani sono molto più consapevoli di certe dinamiche, più aperti al mondo. Da subito ci sono state sollevazioni popolari, anche perché, come sempre in questi casi, i social network sono stati rallentati o addirittura bloccati. La vicenda sta polarizzando il Paese: gli hashtag su X più filolaici, filo-opposizione, parlano di colpo di Stato, quelli filogovernativi di una manovra legittima contro il crimine.
E a livello politico?
Anche ad Ankara, l’anno scorso ad aprile, aveva vinto un leader di opposizione, Mansur Yavas, del CHP, il corrispettivo di Imamoglu a Istanbul. Al momento dell’arresto era all’estero e non ha dimostrato grande solidarietà nei confronti dell’arrestato. Non si è sbilanciato. Segno che anche internamente il CHP non è coeso sulla scelta di Imamoglu quale candidato presidenziale.
Imamoglu rappresenta un pericolo reale per Erdogan?
Potrebbe scalzarlo. Ha fatto la sua comparsa sulla scena politica nel 2019: era sindaco di una piccolissima municipalità di Istanbul e poi, in seguito a un’elezione controversa, con Erdogan che aveva fatto ricorso ottenendo la ripetizione del voto, è diventato sindaco di tutta la città. Nel 2023, pur non essendo segretario generale del CHP, ha presenziato ai maggiori appuntamenti politici. È diventato il principale oppositore di Erdogan.
Su cosa punta per proporsi come alternativa al presidente attuale?
Si è candidato per il partito repubblicano (CHP), che si rifà alle istanze secolari che richiamano i valori di Ataturk. Imamoglu, però, è riuscito ad attirare anche le simpatie dei più conservatori. La campagna elettorale del 2019 ha segnato un punto di rottura: si faceva vedere accompagnato da donne velate, partecipava alle iftar, le cene di rottura del digiuno durante il Ramadan. Fino ad allora il CHP è sempre stato fermo su istanze laiche, di opposizione a ciò che era religione e tradizione, adottando un linguaggio progressista.
Ora cosa può succedere?
Reputo la mossa di Erdogan azzardata, perché non tiene in considerazione il fatto che parte dell’opinione pubblica, soprattutto i millennials, ha dimostrato nelle elezioni amministrative di prediligere un leader più giovane e una retorica diversa.
Se il suo obiettivo è andare a elezioni, capitalizzando ciò che ha ottenuto nella gestione delle crisi regionali e nel processo di pace con i curdi, potrebbe rischiare di non farcela. Perché davvero in Turchia c’è molta più coscienza civile: non è stato arrestato solo Imamoglu, ma anche altre cento persone, si punta il dito contro un’intera corrente.
Erdogan, comunque, vorrebbe prolungare la sua presidenza riscrivendo la Costituzione e prevedendo un terzo mandato (quello in corso è il secondo e con le regole attuali sarebbe l’ultimo, nda) oppure indire elezioni presidenziali ancitipate che potrebbe affrontare un’altra volta considerando che il suo mandato attuale non è ancora scaduto.
Imamoglu potrebbe portare a un reale cambiamento del Paese rispetto all’era Erdogan?
Erdogan all’inizio si presentava come moderato e lui in questo lo ricorda. L’attuale presidente, nel tempo, è stato in grado di costruirsi un grande apparato. E Imamoglu sostanzialmente sta cercando di fare lo stesso. Non lo vedo come un personaggio genuino, come è stato “santificato” da certe cancellerie europee. Anche perché è la politica turca, più in generale, a non essere popolata di santi. Certo, ha preso Istanbul per due volte di seguito, e in Turchia si dice che chi vince Istanbul vince la Turchia.
Fino a che punto potrebbe deteriorarsi la situazione interna?
Recentemente sono stati messi in carcere anche altri sindaci, e questa mossa contro l’opposizione sta diventando un po’ pesante. Il supporto al CHP è in crescita, ma non ha il peso politico in Parlamento per fare chissà che. E poi siamo sempre in un sistema presidenziale. Tuttavia, ci sono delle fratture tra le file di Erdogan: è in corso un’opera di rinnovamento del partito AKP, perché i risultati elettorali hanno rivelato un’emorragia di consensi. E se si calca troppo la mano, le fratture si potrebbero allargare.
(Paolo Rossetti)
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