La UE snobba la Turchia. Non solo ha congelato la sua procedura di adesione all’Unione, ma non dà seguito al dossier sull’unione doganale, né facilita la concessione dei visti ai turchi che vogliono recarsi in Europa. E così Erdogan guarda ad altri interlocutori: i BRICS, la SCO e, in particolare, Putin. Anche per questo sta cercando di riallacciare i rapporti con la Siria, alleata di Mosca.
Un riavvicinamento, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, che potrebbe rafforzare il fronte mediorientale contro Israele e che non fa piacere agli USA di Biden. I turchi, d’altra parte, sperano nell’elezione di Trump, con cui Erdogan ha rapporti più stretti. Con la Siria però, ci sono due grossi nodi da sciogliere: l’occupazione da parte dei turchi di una parte di territorio siriano nel Nord Est del Paese e la gestione dei 4 milioni di siriani che si sono rifugiati in Turchia dopo la guerra civile.
Erdogan offre un incontro ad Assad: Turchia e Siria vogliono normalizzare i rapporti?
La dichiarazione di intenti di Erdogan arriva dopo il suo incontro con Putin a margine del vertice SCO, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Hanno parlato di Ucraina, ma si sono confrontati anche sulla Siria, discutendo di uno scacchiere in cui entrambi i Paesi sono presenti, su fronti opposti ma senza pestarsi i piedi. La Siria è uno scenario cruciale per la Turchia. Il processo di normalizzazione era già iniziato più di un anno fa, prima delle elezioni del maggio 2023. In Russia c’erano stati incontri tra esponenti del governo turco e siriano, a livello di intelligence e ministero degli Esteri.
Quali sono i nodi da sciogliere?
Il primo è la presenza delle truppe turche nel Nord della Siria: la Turchia, dopo che sono stati liberati territori governati da milizie curde, dall’ala siriana del PKK, considerata un’organizzazione terroristica, ha mantenuto propri avamposti con bandiere e scuole turche, una sorta di estensione della sua sovranità. Un’opzione che Assad non riesce a digerire. La Turchia chiede alla Siria la sicurezza dei suoi confini e il contenimento delle milizie curde sostenute dagli USA.
Poi c’è il tema dei siriani rifugiati in Turchia.
Ce ne sono più di 4 milioni, tra censiti e non censiti. La Turchia nel 2011, prima dell’accordo del 2016 con l’UE per contenere l’arrivo dei siriani in Europa, si era impegnata a mantenerli nel suo territorio. Non sono profughi ma ospiti a protezione temporanea, hanno diritto a un assegno mensile con l’accesso a sanità e istruzione. Dal 2016 l’Unione Europea ha stanziato soldi a sostegno di progetti per assistenza e inclusione dei siriani. La Turchia dopo il Libano è il Paese che ospita più siriani, che tendono a rimanere: ci sono progetti di rimpatrio, ma chi è scappato non ha intenzione di tornare, e molti fanno parte di fazioni contrarie ad Assad.
L’integrazione dei siriani resta un grande problema per la Turchia?
Siamo già alla seconda generazione, i bambini di famiglie siriane che nascono in Turchia hanno tutta una serie di diritti. Ma c’è una crisi finanziaria enorme, il tasso di disoccupazione cresce e ci sono istanze nazionaliste che stanno generando sacche di tensione non indifferenti. C’è malcontento fra la gente: ci sono stati anche incidenti significativi, nati da una presunta accusa di pedofilia a un siriano. I siriani che vivono ad Ankara a volte devono lavorare in nero, i loro bambini a scuola spesso vengono bullizzati e cercano di contenere le situazioni di rischio per evitare che da un granello nasca una valanga.
La Turchia vuole rimandare i siriani in patria?
C’è un progetto di ricollocamento volontario nelle zone liberate dai turchi. Per i siriani più istruiti, però, ha avviato procedimenti per concedere la cittadinanza turca. Per il resto vorrebbe ricollocarli, ma chiedendo garanzie ad Assad sul loro trattamento. C’è poi la questione della sicurezza ai confini. La Turchia anche vicino all’Iraq continua con raid contro le organizzazioni separatiste che da lì possono facilmente entrare nel suo territorio e organizzare delle azioni. Per i turchi, indipendentemente da Erdogan, è indigeribile sapere che al di là dei confini ci siano territori controllati da milizie curde. L’approccio di Erdogan rispetto a governi precedenti è molto meno interventista. C’è tutto un comparto nazionalista e repubblicano che avrebbe usato più massicciamente la forza.
Cosa significa, invece, questo abboccamento Siria-Turchia nel contesto dell’area mediorientale?
La Siria è stata riabilitata ed è rientrata nella Lega Araba. Prima del 2011 fra i due Paesi si era ventilata l’istituzione di una zona economica di libero mercato. Ora, in un contesto sempre più infiammato dal conflitto Israele e Palestina, con Assad si potrebbe rinforzare un fronte di contenimento di Israele.
Ma questo piano di rappacificazione è credibile?
La Turchia difficilmente lascerà i territori del Nord Est della Siria, lì battono anche moneta turca. Il lato positivo è che c’è un’apertura. Bisogna vedere cosa vuole Assad.
Il riavvicinamento con la Siria significa che i rapporti con Mosca, alleata della Siria, sono sempre più stretti?
Putin ha detto a Erdogan che non potrà fare da mediatore in Ucraina probabilmente perché in questo conflitto vede il Paese sbilanciato sull’asse europeo, a quel punto l’altra carta da giocare per mettere alla prova Erdogan è il rilancio dei rapporti con la Siria. Nei circoli europei si parla ancora di un governo di transizione per sostituire Assad. La normalizzazione di Erdogan vuol dire, invece, riabilitarlo nella comunità internazionale. Il sistema internazionale sta diventando multipolare e la Turchia cerca di inserirsi in questa logica, per questo guarda ai BRICS, alla SCO. Per difendere i propri interessi l’interlocuzione con altri attori, tra cui Putin, è sempre più necessaria.
I rapporti con la UE, invece, sono meno intensi? L’idea di adesione all’Unione è ormai tramontata?
I rapporti sono sempre più fragili, c’è un processo di adesione ma ormai è morto: l’unione doganale non arriva, per cui la Turchia si tiene aperta, come osservatore, la partecipazione a diversi forum internazionali, consapevole che il sistema liberale è in crisi e che invece Ankara rappresenta sempre di più una potenza: in settori come la Difesa ormai è un security provider per molti Paesi anche NATO. Da parte dell’Europa non c’è grande attenzione, si mantengono rapporti commerciali ma non politici: molti cittadini turchi, anche accademici, hanno difficoltà estrema a ottenere visti per entrare in Europa. Si lede il principio di reciprocità: noi entriamo senza visti in Turchia e loro, seppur titolati, devono fare file chilometriche e a volte si vedono rimbalzati. Unione doganale e liberalizzazione dei visti erano condizioni previste dall’accordo sui rifugiati siriani del 2016.
Se il riavvicinamento Turchia-Siria può rafforzare il fronte anti-Israele, come viene visto dagli americani? Per loro è un ulteriore segnale di debolezza in Medio Oriente?
Tutto avviene nel momento in cui la leadership americana perde terreno e si avvicinano le elezioni presidenziali. I turchi preferirebbero Trump: il rapporto con Erdogan è caratterizzato da simpatia e sincerità, si intendono alla grande. Con Biden ci sono stati problemi fin dall’inizio, da quando è stato nominato non ha mai incontrato il presidente turco in una visita di Stato. Probabilmente lo farà questa settimana in occasione del vertice NATO a Washington. I giornali governativi turchi ridicolizzano Biden. La Turchia, comunque, vuole che gli americani non sostengano le milizie curde, quelle siriane in particolare. I rapporti con Ankara, però, si sono normalizzati dopo l’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO, si è sbloccata la fornitura degli F16 e sono state tolte le sanzioni su alcuni esponenti economici turchi.
(Paolo Rossetti)
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