Sotto il profilo militare la Turchia possiede complessivamente mezzo milione di militari: più esattamente 80mila elementi di carriera, più 410mila soldati, per un totale complessivo di 500mila uomini a cui vanno aggiunti circa 185mila riservisti. Le forze armate turche sono complessivamente forze di altissimo livello. Per quanto riguarda le forze di terra – quelle direttamente coinvolte nell’attuale offensiva contro i curdi – queste rappresentano circa il 30%. Stiamo parlando di circa 320mila tra ufficiali e soldati con oltre 3700 carri armati, 7mila veicoli per trasporto e 800 sistemi di lancio per missili.



Il quartier generale delle forze di terra si trova nella località di Izmir dove – dal 2004 – è presente la base della Nato e dove si trova anche il Comando della forza di pace turca per l’Egeo che controlla l’area turca di Cipro.

Per quanto riguarda le armi a disposizione, l’esercito turco possiede quasi 12mila carri armati, soprattutto Leopard e M60 sia di fabbricazione americana che di progettazione e fabbricazione turca. Per quanto riguarda il sistema missilistico di terra a lungo e medio raggio è in parte di fabbricazione autonoma, ma in parte anche frutto della collaborazione con la Cina. Sotto il profilo delle alleanze non dimentichiamoci che la Turchia è membro della Nato fin dal 1952 ed è stata fondamentale come strumento per contenere la politica di potenza sovietica in Medio oriente durante la guerra fredda (basti pensare alla politica di espansione sovietica posta in essere in Armenia e in Persia).



Per quanto attiene il rapporto tra il nostro paese e la Turchia nel settore dell’esportazione delle armi ci limitiamo a riportare la tabella della Relazione sulle “Operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito di materiali di armamento” del 2018

dalla quale risulta che la Turchia è allo stato attuale un ottimo cliente per il nostro paese nel settore degli armamenti.

Dal punto di vista geopolitico, l’invasione della Turchia deve essere letta nell’ottica della restaurazione delle sue ambizioni neo-ottomane. Infatti, con la conclusione della guerra fredda e l’ascesa al potere di Erdogan, la riflessione geopolitica di Ahmet Davutoglu, panslavista – che individua nella Siria lo snodo fondamentale per accedere al Medio Oriente – ha ripreso la sua valenza strategica analogamente al ruolo centrale della Turchia nella regione.



Proprio per questa ragione la questione curda svolge un ruolo centrale: la Turchia non può accettare che la sua sovranità territoriale venga messa in discussione con la formazione di uno stato curdo, né può consentire che la presenza curda possa ostacolarla nella sua proiezione di potenza nel Siraq.

Al di là delle controversie attuali, dettate dall’incapacità politica trumpiana, l’élite militare americana è conscia del ruolo centrale della Turchia non solo in seno alla Nato ma anche e soprattutto come strumento di contenimento anti-iraniano. Gli Usa non possono consentire infatti che si formi una Siria iraniana, perché questa rappresenterebbe un pericolo geostrategico di enorme rilevanza per i due più importanti alleati americani e cioè per Israele e per l’Arabia Saudita.

In conclusione l’attuale proiezione di potenza turca in Siria potrebbe certamente compromettere la stabilità dell’area e soprattutto determinare – se non tratterà di una guerra limitata – un’escalation che inevitabilmente coinvolgerà non solo le potenze regionali ma che potrebbe indurre la Nato ad intervenire.