Sembrano tutti d’accordo: il turismo “vale”. Quanto? Circa il 13% del Pil, per più di 4 milioni di posti di lavoro. E tutti allora, dati inconfutabili alla mano, concordano nel parlare di asset strategico, bisognoso però di più attenzioni, di piani industriali nazionali più incisivi, di nuove disposizioni della politica.



Nessuna voce fuori dal coro, tutti gli attori in sintonia, compresa quella stessa politica però da sempre distratta: Lorenza Bonaccorsi, sottosegretario al ministero dei Beni e delle Attività culturali, ha recentemente ricordato che per “permettere al comparto di svilupparsi e rimanere competitivo è indispensabile la collaborazione e l’apporto di ogni singolo attore coinvolto in questo processo, dalle istituzioni nazionali e locali agli operatori”.



Bene, benissimo. Peccato che la sua, e tutte le altre simili, restino quasi sempre lettera morta, atti scontati nell’indifferenza che vuole ancora una volta gli operatori unici fanti in trincea. Fanti che però hanno una buona parte di responsabilità delle loro sorti: troppa frammentarietà, troppa abitudine alle rendite di posizione, troppo distanti le logiche dei singoli per poter contare su una capacità contrattuale coesa, in grado di stimolare davvero l’azione del legislatore. Diventa allora imperativo mettere a punto azioni virtuose, in grado di proiettare il comparto – al di là di strategie o non strategie politiche – verso le nuove velocità che lo stanno trasformando e caratterizzando in tutto il mondo, rispondendo alle necessità e alle abitudini del cliente di questo nuovo decennio.



Il percorso è presto riassumibile e già ampiamente riconosciuto nelle sue quattro stazioni fondamentali: innovazione, (tema di cui si parlerà oggi a Firenze in un incontro nell’ambito del BTO2020 in cui interverrà Paolo Debellini, Head of Research & Development TH Resorts) accessibilità, sostenibilità, formazione. Partendo dall’ultimo punto, si tratta di stabilire le qualità oggi necessarie per il personale, soprattutto quello più a contatto con gli ospiti: quindi padronanza delle lingue e dei sistemi informatici, disponibilità, interpretazione dei valori che il brand vuole trasmettere. Obiettivo perseguibile solo con investimenti nel capitale umano, adesso affidati alle volontà individuali, domani agevolati dalla nascita, ad esempio, della Scuola Italiana di Ospitalità, che sta sorgendo grazie a TH Resorts e Cassa depositi e prestiti.

Sempre legato alla sensibilità degli operatori è il capitolo “sostenibilità”, che sta diventando un target sempre più condiviso e imprescindibile, declinato in tutte le sue variabili: non solo gli stili plastic free, ma anche il rispetto dell’ambiente, i tour che scoprono i valori locali, i materiali usati nelle strutture ricettive e via dicendo. Stanno nascendo ovunque nuove sensibilità in materia, alle quali qualsiasi operatore del mondo turismo deve rispondere. Il prossimo marzo l’Itb Berlin Convention ospiterà il primo Itb Responsible Destination Day, un evento dedicato ai comportamenti di viaggio socialmente consapevoli. E in futuro è prevedibile che ogni salone dedicato a viaggi e vacanze non potrà non ospitare iniziative analoghe.

L’accessibilità è poi un asset direttamente collegato alla sostenibilità: si tratta di inclusione sociale, di servizi turistici per persone con particolari necessità, dalle disabilità agli anziani, alle persone con particolari allergie o intolleranze alimentari. Investire sull’accessibilità significa puntare all’allargamento della possibile platea di clienti, intercettare nicchie spesso anche numerose, adeguare la propria struttura per farla diventare riferimento per le esigenze dei meno vantaggiati.

Il primo punto, comunque, è probabilmente quello più decisivo: l’innovazione, la necessità di tendere alla digitalizzazione dell’intera filiera di settore. “Il turismo – sostiene Carlo Montisci di Ideas – è stato definito labour intensive. Infatti, contrariamente a quanto avviene in altri settori, l’automazione e la standardizzazione sono da sempre considerati un minor valore rispetto al servizio fornito dal personale. Questo ha spesso portato le aziende turistiche a sottovalutare l’importanza del supporto delle tecnologie nella strategia di innovazione: sviluppo del prodotto o del mercato”. Verissimo.

Oggi però, stanti le possibilità offerte dalle tecnologie (internet, prenotazioni dirette tramite app, customer [no] satisfaction espresse immediatamente sui siti di recensioni, richieste di ambienti cablati eccetera), e le tendenze alla personalizzazione delle esperienze e degli stessi soggiorni, anche l’operatore più tradizionale è chiamato ad una rivoluzione in primis culturale, necessaria per approcciarsi con soddisfazione (e rientri economici) alla digitalizzazione.

“Internet – afferma Francesco Passantino, docente di marketing turistico alla Uet – ha messo a disposizione di qualsiasi operatore un medium attraverso il quale raggiungere ed essere raggiunto direttamente dal consumatore finale. Poiché i servizi turistici sono attività prevalentemente basate sull’informazione e sulle relazioni, le imprese acquisiscono grandi vantaggi nella virtualizzazione delle fasi del ciclo, spostando tutta la catena del valore del settore online”.

Sui nuovi rapporti azienda-cliente, senza le tradizionali mediazioni, si sono concentrati i maggiori investimenti dal mercato mondiale. Ma si sono moltiplicate anche le start up (in breve divenute colossi) sorte per implementare il business, aiutando gli operatori a integrare il loro lavoro nelle strutture ricettive ottimizzando i flussi operativi, semplificando e automatizzando i dati e i processi, favorendo la fidelizzazione dei clienti e la personalizzazione delle loro esperienze.

“Qualche tempo fa abbiamo organizzato una tavola rotonda con numerosi clienti – afferma John Gallagher, direttore vendite Sud Europa per Duetto (Revenue Management Systems), società di tecnologia dell’ospitalità che semplifica la gestione delle entrate in modo da poter lavorare in modo più intelligente e meno difficile -. Ne sono emersi tre takeaway, tre linee guida: pensare da business agile; adottare una metodologia “fix&try”, prova e aggiusta il tiro; capire le esigenze, fare ricerche di mercato. Quindi bisogna partire dal presupposto che l’albergo ha infinite possibilità di parlare con i clienti (al check-in o check-out, per esempio); da qui bisogna però comprendere velocemente che tipo di attività funziona o no, capire il motore di prenotazione di cui si ha bisogno. Un esempio: l’esperienza prima del soggiorno. Di solito il turista riceve una lunga mail dall’hotel, ma ciò che i clienti vogliono davvero è una comunicazione informale, via whatsapp o servizi simili”.

Non è l’egoistico e utopico “tutto e subito” degli anni Ottanta; è piuttosto la nuova cifra del turismo 4.0, quello frutto di una rivoluzione industriale e tecnologica che ancora non si è del tutto sincronizzata con l’obbligatorio adeguamento mentale degli operatori chiamati a cavalcarla.