Il ponte dell’8 dicembre, tradizionalmente dedicato alle prime sciate di stagione, salterà certamente: l’ultimo Dpcm anti-Covid19 scade giovedì 3, è stata cancellata qualsiasi manifestazione, qualsiasi appuntamento, è saltata anche la prima della Scala. Impossibile prevedere una riapertura degli impianti di risalita in tempo utile. L’ipotesi sul tavolo oggi è semmai una riapertura post Natale, ma anche questa è soggetta a verifiche quotidiane sulla fattibilità. Le operazioni di innevamento programmate sono collegate alle aperture preventivabili, e quindi anche queste restano in sospeso. Ma anche se si potesse riaprire dopo Natale, il calo dei fatturati è già previsto dal 70% in su.



E se la stagione dovesse essere completamente compromessa per gli impiantisti, i riflessi colpiranno ovviamente tutta la filiera montagna-inverno: ristoranti, alberghi, noleggiatori e via dicendo. In montagna quest’inverno arriveranno probabilmente solo i padroni di seconde case, e anche di questi solo quelli non interessati agli sport bianchi. Una perdita enorme, che non si è mai registrata prima e che rischia di compromettere la pur tenace resistenza di territori disagiati. In ordine di grandezza, l’intero settore vale 10 miliardi di euro, in pratica buona parte del Pil delle zone montane.



“Stiamo vivendo giorni difficili nel tentativo di trovare soluzioni – ha detto Valeria Ghezzi, presidente Anef (l’associazione degli imprenditori funiviari aderente a Confindustria), ai microfoni di radioCapital -. C’è anche un paradosso: si sono create moltissime polemiche sulle fotografie scattate tre settimane fa alle code dei botteghini degli impianti di Cervinia, per altro subito dopo richiusi. Il fatto è che più la coda alle casse è lunga (ingigantita anche dalla prospettiva dello scatto), più le persone sono distanziate; poche code implicano invece assembramenti veri al botteghino. Delle due l’una. Si parla poi dei problemi legati alle promiscuità sulle cabinovie, ma lì c’è l’obbligo dell’apertura dei finestrini, bloccati in questa posizione, tutti sono vestiti da sci, quindi quasi sempre con occhiali, caschi, maschere, scaldacollo alzati, e i trasporti durano una media di solo 7-8 minuti. Eppure si parla di ridurre la portata delle cabinovie, senza pensare che così si aumenterebbero automaticamente le code a terra. Non c’è alternativa”.

Insomma, non se ne esce, con qualsiasi protocollo, come quello che hanno elaborato le associazioni degli impianti con le Regioni e che attualmente è ancora al vaglio del CTS. “Al momento attuale – ha detto Ghezzi – arrivare ad una soluzione che soddisfi il Comitato Tecnico Scientifico e impiantisti è complicato, molto difficile. Addirittura, tanto per dare un’idea chiara della situazione, in un primo momento ci è stato addirittura chiesto di poter far accedere in giornata agli impianti non più di 150 persone per località. Impensabile e insostenibile”.