“L’aumento dei costi per energia, materie prime e servizi di terzi sta mettendo a rischio un quarto degli hotel a 3 e 4 stelle”. Lo ha dichiarato la presidente di Confindustria Alberghi, Maria Carmela Colaiacovo. Tanto per fare i numeri, quel quarto si traduce in circa 5mila imprese di ospitalità, della fascia medio-alta, tutte aziende che reggevano il proprio conto economico su una ripartizione standard: personale 40% dei ricavi, affitto della struttura 25%, energia 10-15%, più forniture, manutenzioni e imprevisti. Oggi la voce energia è passata al 30-45%, e i conti non tornano più (sembra che in Romagna certi hotel prevedano di far pagare quale optional anche l’aria condizionata).
Ma anche se gli operatori volessero ritoccare i listini, sarebbe impensabile scaricare in toto gli extracosti sulle tariffe delle camere, tariffe che diventerebbero insopportabili. Perché è vero che certi pubblici esercenti esibiscono sulle vetrine le bollette prima e dopo gli assurdi rincari, giustificando così i rialzi dei servizi offerti, ma è anche vero che così facendo i consumatori si trovano sia ad affrontare il proprio caro-bollette di casa, sia ad accollarsi le super spese altrui.
Il meccanismo non può funzionare, e può implicare solo un drastico calo dei consumi. “In realtà, bisogna tutti lottare insieme contro le speculazioni”, afferma Carlo Rienzi, presidente del Codacons, convinto che il prezzo del gas, e conseguentemente dell’energia elettrica, siano frutto non solo della guerra in Ucraina (con la Russia che ha chiuso i rubinetti del Nord Stream, e che ogni giorno, pur di non rispettare le forniture all’Europa, brucia dieci milioni di dollari di gas nella centrale al confine con la Finlandia), ma anche e forse soprattutto delle speculazioni che si consumano nella borsa TTF di Amsterdam.
Per evitare le prevedibili chiusure degli alberghi, magari quelli non in città d’arte, ma in località comunque turistiche, che avevano appena iniziato a tentare la strada della destagionalizzazione, il ministro al Turismo, Massimo Garavaglia, ha dichiarato che “è urgente un intervento per attenuare l’impatto dell’aumento dei costi energetici sui bilanci degli operatori del turismo” e ha proposto nuovi crediti d’imposta “sull’incremento dei costi energia, da calcolare nel periodo settembre 2021/settembre 2022: si potrebbe utilizzare per la decontribuzione personale ottobre 2022- marzo 2023. In questo modo ne beneficeranno gli impianti turistico-ricettivi che rimarranno aperti in montagna, alle terme e nelle città d’arte”.
Una proposta che fa il paio con quella avanzata da Massimo Caputi, presidente Federterme, che parla di un credito d’imposta al 100% sul differenziale tra i costi d’energia 2019 e quelli del primo semestre del “nuovo anno termico”, credito da utilizzare solo a compensazione dei contributi previdenziali del personale nel medesimo periodo.
Tutti i partiti, in campagna elettorale, guardano il premier sfiduciato Mario Draghi: gigante, aiutaci tu. E non lasciarci con questo cerino pericolosissimo in mano, con l’incubo di dover magari poi ricorrere a razionamenti, tasse, rincari targati nuovo governo. Con buona pace di qualsiasi proposta di flat-tax.
Ma con un debito pubblico al 148% del Pil, mentre gli hedge fund stanno scommettendo contro lo stesso, Draghi già da tempo stava lavorando su interventi sostenibili, senza scostarsi dai bilanci: il decoupling dell’energia elettrica dal gas (oggi i meccanismi dei costi sono di fatto allacciati), il prezzo calmierato e unico per tutta l’Unione, il finanziamento di un nuovo decreto (Aiuti ter) tramite gli extraprofitti delle imprese del comparto energia. E il proseguimento della road map per raggiungere tutti gli obiettivi propedeutici ai fondi del Pnrr.
L’unica variante che non era stata fino in fondo considerata, proprio nel Pnrr, era quella dell’energia, perché i tempi in cui il Pnrr fu varato non facevano intendere le congiunture odierne. Anche se comunque l’impegno nella transizione ecologica e nelle politiche di diversificazione di approvvigionamento e stoccaggio (già adesso all’80% del fabbisogno) stanno proseguendo nella traiettoria fissata dal Piano per la sicurezza delle forniture.
In ogni caso, è chiaro che l’emergenza non lascia più tempo e spazi di manovra. Sia il governo sfiduciato, lasciato al lavoro per sbrigare gli affari correnti, sia il governo che verrà post elezioni devono e dovranno affrontare il nodo energia. Considerando tra i primi settori da tutelare anche il turismo, quello che da solo vale oltre il 13% del Pil, quello che da solo quest’estate ha trainato la ripresa dell’Italia.
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