“Sarà difficile che questo Parlamento vada a casa, nessuno ha voglia di lasciare libero lo scranno. Più probabile che si coaguli una nuova maggioranza, sempre attorno a Conte: non vedo altri nomi per una convergenza”. Ma con o senza Renzi? “È la stessa cosa, comunque immagino con i renziani. Renzi s’è già fatto abbastanza male da solo”. Cosa si ci deve augurare, a questo punto per l’Italia? “Un piano Recovery accettato dall’Europa, l’arrivo dei soldi previsti, una legge di bilancio che non rovesci il peso della crisi esclusivamente sul debito. Tanto altro, per quest’anno, e credo anche per il prossimo, non si riuscirà a fare”. Questo, in sintesi, il Cacciari-pensiero sulla crisi politica e il destino istituzionale. Massimo Cacciari, il filosofo già europarlamentare e per molti anni sindaco di Venezia, parla dal suo disincantato osservatorio personale, oggi intristito nel vedere la sua città desertificata, trasformata in un habitat indisturbato per piccioni, gabbiani e troupe cinematografiche, che hanno scoperto in una Venezia spettrale i set ideali.
Professore, che effetto le fa?
Una profonda tristezza. Ma direi che molti veneziani si meritano tutto questo, ovviamente non quelli che oggi si ritrovano con l’acqua alla gola, ma tutti gli altri, quelli che come unico ideale avevano solo una Venezia vuota.
In che senso?
Molti si meritano un simile degrado perché per troppo tempo, forse da sempre, hanno considerato in maniera idiota il turismo in città, lo hanno denigrato, contrastato, combattuto, accusandolo di ogni nefandezza, di ogni danno alla città. Conosco bene i continui piagnistei, le petizioni, le proteste. Adesso – con i primi turisti americani o giapponesi che non si rivedranno prima del 2022 o addirittura del 2023 – ci si rende conto di cosa significhi il turismo per Venezia, ma direi anche per qualsiasi altra città d’arte italiana. Anche se certamente il turismo ha assolutamente bisogno di organizzazione, di un’attenta gestione dei flussi, di programmazione.
Si tratta quindi di questo, organizzazione e programmazione?
Direi di sì. Ma non ci si deve stupire: in Italia il turismo non è mai stato considerato una vera industria, anche se garantisce il 15% del Pil, e ben oltre, tenendo conto dello sviluppo della filiera coinvolta. Il turismo è visto quale divertimento, un qualcosa che va da sé, che non ha bisogno di particolari abilità e attenzioni. L’industria è solo manifattura o tecnologia, il turismo resta legato ai preconcetti psicologici.
Eppure, tutti parlano di turismo quale asset strategico…
Sì, a parole. In realtà per il turismo in Italia (che dovrebbe essere a diritto il primo Paese al mondo) non esiste nessuna politica, ma a dire il vero da cinquant’anni in Italia manca qualsiasi politica industriale, quindi come pretenderla per il turismo? Resta tutto affidato alle micropolitiche regionali o locali. Senza dimenticare, comunque, le responsabilità degli operatori privati, dispersi in una inefficace polverizzazione delle rappresentanze: cento sigle quasi mai unite per raggiungere scopi comuni, una categoria spaccata in mille schegge, incapace di fare sistema.
Secondo lei, professore, quali sono le necessità più impellenti per la ripresa del comparto?
Servono risorse per le infrastrutture, sostegni per le imprese, una nuova politica nazionale per il turismo. E coordinamento tra pubblico e privato, con più organizzazione, anche se la gestione dei flussi è difficile. Ma proprio per questo non può essere delegata solo all’ente pubblico. C’è bisogno di cominciare a considerare il turismo quale risorsa da potenziare e quindi a elaborare nuove politiche di gestione, in coordinamento tra pubblico e privato, con ragionamenti critici ma anche autocritici, che proprio questa spaventosa depressione odierna può motivare. E c’è bisogno di percorsi che possano garantire più qualità, più formazione, più scuole. Nel turismo, il settore industriale che dà più valore aggiunto, non servono minori competenze, anzi.
Proprio a Venezia sta per nascere la Scuola italiana di Ospitalità. Potrà agevolare questa riqualificazione degli operatori?
Credo di sì, come tutte le scuole che agevolino una crescita. Bisogna considerare che abbiamo almeno la metà del patrimonio artistico monumentale del pianeta, ma siamo solo al quarto o quinto posto nella classifica delle mète. Una singola città d’arte italiana può vantare il patrimonio artistico dell’intera Spagna. Non ci siamo. È ora di acquisire nuove consapevolezze e nuovi strumenti per poter contare davvero su un simile tesoro. Se questa pandemia portasse all’apertura di un tavolo di confronto e programmazione tra operatori, Regioni e politica sarebbe un modo utile di utilizzare il tempo perduto.
Professore, si dice che i tempi difficili creino uomini forti. Lei ci crede?
Stupidaggini, come “ne usciremo migliori”… I tempi difficili e i tempi facili hanno le stesse possibilità di creare uomini forti là dove ci sia l’intelligenza di comprendere i problemi. Diventiamo migliori o peggiori a seconda di quanto usiamo il cervello. I tempi difficili in organismi sani creano certe forme di resistenza, ma la differenza la fa solo l’intelligenza, la sola che possa fare affrontare le situazioni, ragionando e trovando soluzioni.
(Alberto Beggiolini)