La Storia siamo noi. Un verso di Francesco De Gregori ripreso l’altro giorno perfino dal Presidente Mattarella, a ricordo che ogni pensiero, ogni azione, ogni scelta non è ininfluente, ma finisce con il creare il pensiero, l’azione, la scelta collettiva. Estendiamo il concetto, portandolo sulle nostre cifre: il turismo siamo noi, che non nasciamo turisti, né siamo turisti 365 giorni all’anno (magari…), ma viviamo i nostri sempre troppo brevi periodi di vacanza che ci possiamo permettere appunto scegliendo, decidendo, andando.
Da tutto questo, deriva che la ripartenza che il settore sta finalmente vivendo è nelle mani di tutti, forte della gran voglia di partire, ma debole nelle ricadute in vizi di vecchia data, come la concentrazione (tutti nelle stesse location, tutti negli stessi giorni), forzata ovviamente dalle disponibilità (le giornate di riposo, la vicinanza delle destinazioni), ma come si diceva viziata da abitudini, pigrizie, mancanze pubbliche (scarsa capacità di decentrare flussi e tempi).
Oggi, però, “bisogna tener conto di alcuni cambiamenti prodotti dall’esperienza della pandemia, non solo nell’organizzazione e nelle strategie delle aziende turistiche, ma anche nei comportamenti e nelle scelte dei viaggiatori stessi, più orientati verso un turismo di prossimità e maggiormente attenti alla sostenibilità ambientale”, afferma l’ultimo report di Borsa Italiana. “Il ruolo della politica è accompagnare questi cambiamenti, partendo innanzitutto dall’introduzione di misure adeguate a colmare quei tradizionali gap strutturali di contesto che pongono l’Italia in una posizione arretrata rispetto ai principali competitor. Secondo le classifiche internazionali del WEF, su infrastrutture, digitalizzazione, burocrazia, trasporti, promozione dell’immagine del Paese c’è ancora molto da fare”. Lo sa bene anche il Governo Draghi, che nel Piano nazionale di resilienza e ripresa ha previsto circa 3 miliardi dedicati alle attività turistiche per “migliorare le strutture turistico-ricettive con l’obiettivo di elevare la capacità competitiva delle imprese e di promuovere un’offerta turistica basata su sostenibilità ambientale, innovazione e digitalizzazione dei servizi”.
È chiaramente un primo passo per rilanciare un comparto che, scrive Borsa Italiana, “ha un ruolo cruciale per la crescita italiana. Senza la ripartenza del turismo, infatti, non è realizzabile quella necessaria ripresa economica che è da più parti auspicata”. Ma il turismo è uno dei principali motori per tutta l’economia mondiale: la sua lunga filiera (settore ricettivo, ristorazione, trasporti, servizi culturali e museali) vale quasi il 10% del pil globale e occupa più di 300 milioni di persone (10,6% del totale). Prima della crisi pandemica il valore (diretto e indiretto) del settore era di circa 9 trilioni di dollari, 1000 miliardi in termini di investimenti e 1,7 trilioni di dollari di esportazioni, il 27,4% delle esportazioni di servizi (elaborazioni Borsa Italiana su dati Wttc). L’Italia è una delle principali mete dei viaggi internazionali e il turismo rappresenta un settore fondamentale per l’economia del Paese: vale circa il 7% del pil e il 7,1% degli occupati (quasi 1,7 milioni di addetti). Includendo effetti diretti e indiretti genera quasi il 14% del valore aggiunto totale e dell’occupazione (dati 2019). Vi sono 32.730 esercizi alberghieri e 185.597 esercizi extra-alberghieri, con un flusso di clienti pari a circa 437 milioni di presenze e una permanenza media di 3,3 notti (sempre su dati 2019). L’Italia è quarta in Europa per numero di presenze totali (dopo Spagna, Francia e Germania), avendo una quota maggioritaria di turisti stranieri (diversamente da quanto avviene in Francia e Germania). È prima per numero di siti Unesco, a pari merito con la Cina.
“Le limitazioni degli spostamenti dentro il territorio nazionale e dall’estero, aggiunte alle chiusure totali o parziali di attività correlate al comparto turistico – sostiene Borsa Italiana -, hanno determinato una caduta del fatturato che nel punto di minimo della prima ondata del Covid (aprile 2020) ha raggiunto il 95% rispetto a un anno prima. Dopo il parziale recupero nei mesi estivi, in autunno la seconda ondata di contagi ha reso necessario un rafforzamento delle limitazioni sia in Italia che negli altri Paesi, oltre alla sospensione delle attività legate al turismo invernale. Ciò ha determinato una nuova, profonda, caduta di presenze turistiche e fatturati, che in alcuni comparti ha superato l’80% rispetto a un anno prima”. Nella media del 2020 il fatturato del comparto turistico è diminuito di quasi il 60% e il calo delle presenze turistiche totali è stato superiore al 50% rispetto al 2019. Nei primi mesi del 2021 la gravità della situazione sanitaria dentro e fuori dall’Italia ha impedito la riapertura delle attività del comparto.
Adesso la campagna vaccinale sta portando i primi risultati: in Italia più di 30 milioni di persone ha già ricevuto almeno una dose e si è avuto un calo dei nuovi casi di contagio e di ospedalizzazione che si avvicina al 90% rispetto ai picchi precedenti. Ma dopo più di un anno dall’inizio della pandemia, i segni delle ferite economiche, sociali e sanitarie sono ancora profonde nel nostro Paese. “Nel 2020 il Pil è caduto dell’8,9% (e nel primo trimestre di quest’anno è sceso di un ulteriore 0,4%), gli occupati sono diminuiti di 456 mila unità rispetto al 2019, la produzione industriale e il fatturato dei servizi sono scesi dell’11%; fino ad oggi le persone contagiate in Italia sono in totale 4,15 milioni mentre i morti a causa del Covid sono circa 124 mila. In termini economici l’impatto della pandemia è stato disastroso in molti settori, specie nei servizi, dove in alcuni comparti si è avuto quasi un azzeramento del fatturato – soprattutto nella prima fase della pandemia – a causa delle misure di contenimento introdotte per limitare il contagio”.
“Il turismo è uno dei settori che ha risentito per primo e in modo più violento della crisi sanitaria. Le misure introdotte per limitare i contagi nel mondo hanno portato a una quasi completa cessazione delle attività turistiche in maniera improvvisa, diffusa e simultanea. Secondo l’Unwto, gli arrivi turistici internazionali sono diminuiti di circa il 75% e i livelli sono tornati indietro di quasi 30 anni; è stimato un calo di quasi 1 miliardo di arrivi, con un impatto economico che vale circa 2 trilioni di dollari (il 2% del Pil mondiale); circa 100 milioni di posti di lavoro sono a rischio, specie tra le donne e i giovani”.
Dunque, le attenzioni riservate dal Governo e dal mondo economico per il settore sono più che dovute, ed è evidente che quanto già disposto dai decreti e dal Pnrr non potrà ancora essere sufficiente. Risalta infatti quanto si diceva all’inizio: un turismo resiliente è possibile, un turismo di vera ripresa invece non potrà basarsi – o almeno non solo – solo su bonus e ristori, ma anche sull’educazione a una nuova cultura di turismo, a come spendere meglio il tempo riservato leisure, un lusso che dovremmo tutti (perché i turisti prima o dopo siamo tutti noi) imparare a gestire, scegliendo le destinazioni, rispettandole, conoscendole, facendo del bene a territori e contemporaneamente a noi stessi. Bisogna insomma programmare un accompagnamento a questa nuova cultura turistica, che sarà anche d’impresa, perché si tratta non solo di upgrading dei viaggiatori, ma anche delle strutture e degli operatori.
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