La guerra fa morti. Qualsiasi guerra, anche quella combattuta “da remoto”, anche quella per interposta persona, anche quella più fredda. Morti e macerie.
Questa brutale guerra asimmetrica, il mondo contro un nemico invisibile e supercontagioso, ha causato già 350 mila morti, circa 5 milioni di feriti (casi positivi), e un cumulo incalcolabile di macerie. Tra queste, soprattutto per il nostro Paese, c’è l’industria del turismo, schiantata in un amen, azzerata dal lockdown, dalla sospensione di Schengen, dai distanziamenti, dalla paura e dall’immagine complessiva di un’Italia ritenuta all’inizio brava nell’applicare rigorose misure di contrasto all’epidemia, ma nello stesso tempo disastrosa nella comunicazione. Perché proprio quel rigore sarebbe potuto diventare una patente di sicurezza da sfruttare, ed invece è stato trascurato ed è finito col somigliare a un’ammissione di impotenza, a una prova della pericolosa estensione del contagio. Da virtuosi a untori: il sentiment del mondo e dell’Europa nei nostri confronti s’è trasformato nel giro di pochi giorni.
Il risultato è stato il blocco delle frontiere, la diffidenza dei turisti d’oltralpe, la messa in disparte dagli accordi europei sulle riaperture, i corridoi preferenziali che quest’estate potrebbero dirottare i flussi dalla Germania e dagli altri Paesi del Nord verso Croazia o Grecia. E la paralisi degli scali aeroportuali: ieri il primo aereo ha ritoccato la pista di Orio al Serio dopo due mesi di chiusura, un volo da Sofia, subito ripartito. Ma tra giugno e agosto le previsioni indicano un 70% in meno delle prenotazioni aeroportuali.
“Niente corridoi, accordi bilaterali o concorrenza. Non servono a niente. Dobbiamo scrivere protocolli comuni per la valutazione del rischio e garantire il libero spostamento dei turisti nell’area Schengen. Non può esserci una differente valutazione del rischio tra gli Stati”. Mentre il ministro Dario Franceschini ripete il suo leit-motiv, però, gli altri si sono già dati da fare, come l’Austria, che mantiene i confini chiusi con l’Italia e si è accordata con la Croazia. E siccome la Germania per arrivare in Italia deve per forza passare per l’Austria…
Insomma, l’industria del turismo italiano quest’anno sta rischiando la perdita di 60 milioni di arrivi di stranieri, per qualcosa come 200 milioni di presenze e circa 40 miliardi di euro. Il bazooka che il Governo dice di avere puntato contro questo scenario da incubo (inutile parlare di cifre, inopinatamente lievitate a ogni dichiarazione pubblica) è fatto di interventi tesi a favorire le vacanze degli italiani (la tax credit, di imprevedibile efficacia) e a calmierare le perdite degli operatori (prevalentemente sconti fiscali). E per ricrearci l’appeal all’estero è stata disposta una dotazione di 20 milioni per il “Fondo per la Promozione Turistica, Viaggio in Italia, nato per promuovere i diversi settori e le diverse destinazioni del turismo italiano anche attraverso l’Enit – Agenzia Nazionale del Turismo, organismo che vedrà un maggior coinvolgimento nella propria governance di Regioni, Enti Locali, Comuni e associazioni di categoria”. È la stessa logica che ha portato alla proliferazione incontrollata delle task force messe in campo per contrastare l’epidemia: si allarga la platea degli stakeholder per condividere responsabilità ed eventuali flop. Una logica fuorviante, buona forse in “tempo di pace”, inutile per la ricostruzione. Cosa serve gestire con regioni, comuni, Apt, proloco e via dicendo – tutti eccezionali enti o istituzioni locali che per loro natura sono però portarti a difendere o promuovere i rispettivi territori – l’azione di restyling generale necessaria per l’Italia?
Oggi non serve ripetere ai tedeschi o agli austriaci quanto belle siano Venezia od Otranto, quanto accoglienti siano le nostre spiagge: lo sanno già, per tedeschi o austriaci il mare nostrum è sempre stato il loro, e a Jesolo o sul Garda si trovano gli stessi wurstel con crauti di Monaco. Oggi la promozione turistica italiana all’estero deve diventare una promozione sanitaria, che infonda tranquillità e sicurezza. Lo straniero deve capire che il viaggio in Italia equivale a uno spostamento a casa sua, anzi qui potrebbe forse contare su un migliore sistema sanitario diffuso. Lo stesso sistema che nel rispetto della più assoluta trasparenza ha fornito fin dall’inizio dei contagi un quadro fin troppo dettagliato dell’evolversi della situazione, che paragonato con l’opacità o le “distrazioni” di altri ha contribuito a creare il sospetto che solo in Italia il Covid-19 si sia accanito così duramente. Per poi scoprire che in Germania, ad esempio, i decessi (soprattutto nelle Rsa) venivano calcolati solo se “di coronavirus” e non “con coronavirus”, come da noi.
Insomma, non sembra proprio il momento adatto per promuovere all’estero “i diversi settori e le diverse destinazioni” italiane, ma di sfruttare proprio quell’assoluta trasparenza dimostrata nella gestione del contenimento dell’epidemia quale bandiera per ribadire l’altrettanto palese sicurezza che adesso il nostro Paese può offrire. Pur tenendo presente che niente e nessuno potrà mai garantire una vita Covid-free fino alla comparsa del vaccino.